Articolo di Enrico Zoi per la rubrica “A tavola con...”- Enrico Zoi intervista Lamberto Bava – . -Oggi parliamo di enogastronomia con il regista Lamberto Bava, che ci racconta il padre Mario Bava, maestro degli effetti speciali e del cinema horror italiano (La maschera del demonio, 1960; La ragazza che sapeva troppo, 1963; Cani arrabbiati, 1974; Reazione a catena, 1971), ma che svela anche un po’ di se stesso.
D’altronde è il suo erede diretto, nonché ben noto autore di due celebratissimi cult horror, Dèmoni (1985) e Dèmoni 2… L’incubo ritorna (1986), e poi de La casa con la scala nel buio (1983), Morirai a mezzanotte (1986), Le foto di Gioia (1987), A cena col vampiro (1988), e di alcune miniserie televisive fantasy di grande successo: una su tutte, Fantaghirò, andata in onda fra 1991 e 1994.
Mio padre: Mario Bava
“Mio padre Mario Bava, in realtà, non era un cultore del cibo e nemmeno io lo sono – spiega Lamberto -. Nei ristoranti, non ordinava il primo. Pigliava una paillard con bieta o altra verdura cotta o fagiolini. La cicoria no, non andava bene! Però ai ristoranti si andava, e con gli amici, ma, quando ero piccolo, ricordo che papà era molto amico di Aldo Fabrizi e più che altro andavamo a casa di Fabrizi, dove lui preparava le cose sue: ecco, in quelle situazioni sicuramente gli spaghetti li mangiava!
In generale, tuttavia, non era uno che ti dava soddisfazione a tavola: il cibo non era la cosa principale per lui. Ma la domenica me lo vedo ancora arrivare con il vassoio delle paste prese da Rosati. Poi, rammento un film con Alberto Sordi che cucinava gli hamburger: Sordi ci portava al famoso California, a Roma, in via Bissolati, di fronte al Cinema Fiamma, dove si mangiavano i primi hamburger della città. Erano gli anni ’50”.
E lei, Lamberto?
“Anch’io come gusti culinari sono molto semplice. Non mi piacciono le cucine troppo elaborate, come non amo le città, né l’aria condizionata: ora sono in Sardegna [l’intervista è stata realizzata a luglio 2023], su un terrazzo, sotto un meraviglioso cedro del Libano pieno di cicale, in una giornata calda. Da marzo sono qua e non mi muovo! Tornando al cibo, la cosa che preferisco è la bruschetta con pomodoro e senza aglio. Però, sono abbastanza un cuciniere, ma per piatti semplici, che mi sono arrivati da ricordi ancestrali e che ho rifatto: tipo i pomodori appena colti, tagliati a pezzetti, poi messi in forno con il pan grattato, che sono un ottimo condimento per la pasta.
Certo, come tutti quelli della mia generazione, ho amato anche cibi internazionali, ma non eccessivamente complicati. Mi piace la cucina giapponese e, tranne in rari casi, essendo anche un viaggiatore, dovunque vado cerco di mangiare ciò che mangia la gente del luogo. È vero che, a New York, si mangiava la pasta buona all’italiana, se no cerco il cibo locale.
Fa parte del viaggio. Oggi non mi piace passare in mezzo alle file dei turisti con la bandierina e cerco di evitare i ristoranti con cibo internazionale, magari a buffet. Meglio un ristorante locale buono! Ma mi ricordo dei viaggi a Firenze per prendere i panini tartufati di Procacci: qualcuno si mangiava lì per lì, e poi ce li finivamo in autostrada!”
Suo padre però usò il cibo negli effetti speciali!
“Era diventato famoso per Caltiki il mostro immortale, film horror italiano del 1959, diretto da Riccardo Freda con lo pseudonimo di Robert Hamton.
Papà curò gli effetti speciali e per me fu una delle prime volte in cui vidi fare i famosi trucchi. Arrivò il capomacchinista con due buste piene di trippa a quadrettini: era il mostro! Era cotta, la si metteva nei modelloni, sotto c’era uno con le mani che la faceva muovere e rompeva le porte.
Faceva veramente senso. Però, siccome era estate, dopo un po’ con le luci la trippa cominciava a puzzare: bisognava buttarla, aprire le finestre e ripartire il giorno dopo con trippa nuova!
Una volta adoperò la polenta per fare una palude: una grossissima padella cinematografica di due metri di diametro con cinque centimetri di polenta sul fuoco, un po’ di sassi e quella era la palude. Sia chiaro: quella polenta e quella trippa non si mangiavano!”
Citiamo qui un brano dell’articolo ‘Dalla fame all’inappetenza, appunti per una parabola del cinema italiano’, del saggista Roberto Curti:
“La fame aguzza l’ingegno. Ed è inevitabilmente al cibo che si fa riferimento quando è il momento di inventare effetti speciali. È il caso di Mario Bava: per realizzare l’ameboide creatura di Caltiki il mostro immortale di Riccardo Freda, Bava compra chili e chili di trippa, che, opportunamente illuminata e fatta interagire con modellini, diventa un convincente, gigantesco blob antropofago (con l’effetto collaterale, una volta andata a male sotto le roventi luci dei riflettori, di intossicare mezza troupe); in La maschera del demonio, Bava mette in scena la resurrezione della strega Asa (Barbara Steele), facendo spuntare nelle orbite vuote di un manichino di cera due bulbi oculari che in realtà sono uova sode; e i crateri di lava fumante di un pianeta alieno nel fantascientifico Terrore nello spazio sono comunissima polenta. Gli artigiani degli effetti speciali nel nostro cinema italiano, da Carlo Rambaldi in giù, seguiranno il suo esempio, facendo tappa dal macellaio e rifornendosi di frattaglie e coratelle, pajata e cotenne di maiale, per creare ributtanti ferite e sbudellamenti”. L’articolo completo è disponibile qui
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Anche lei ha usato polenta e trippa per gli effetti dei suoi film?
“No, i miei effetti erano sempre artigianali, ma non ho usato la polenta o la trippa! Per fare gli horror si usano pezzi di maiale e cuori strappati: nel cinema è una cosa abbastanza comune. Magari ricorderei la particolare cena del mio A cena col vampiro, del 1987 il film intero si trova su Youtube], e anche il trailer che girai per pubblicizzare la serie tv Alta tensione. Tutti i personaggi erano in una sorta di grotta/castello, erano personaggi strani, mostri, chi con tre occhi, chi con bocche da lupo, tutti a tavola mangiare cavallette, orrende gelatine colorate e ragnoni!”
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