Articolo di Enrico Zoi per la rubrica “A tavola con…“- Enrico Zoi intervista Sandro Fogli. – Questo mese ci conduce a parlare del cosiddetto ‘Maestro del Brivido’, Alfred Hitchcock. Del rapporto del grande regista con il cibo e con il viaggio parliamo con l’amico Sandro Fogli, che è tante cose in una: aiutoregista (“per ora!”, sottolinea), autore di saggi cinematografici, insegnante di storia e critica del cinema e regia.

Perché? Ma perché a Hitch, nel 2010, Fogli ha dedicato il saggio Hitchcock e la vertigine interpretativa, pubblicato da Romano Editore, e conosce Hitch praticamente meglio di chiunque altro.

“Sei sempre un ottimo canovaccio, Enrico! Perché tu parli e a me si aprono i files in testa. Pensa se fossimo una coppia come Billy Wilder e uno dei suoi due cosceneggiatori! Quando si affronta il rapporto fra Hitchcock e il cibo si aprono più porte. Uno può pensare a quali fossero le sue passioni culinarie…”.

Sandro Fogli

Sandro Fogli

Vai!

“Aveva sicuramente due importanti fissazioni, una per il paté de foie gras, che faceva arrivare direttamente da Chez Maxim a Parigi in aereo!”.

Lo capisco!

“Ma la seconda è ancora più interessante perché fa il paio con le sue comparsate nei suoi lungometraggi: stiamo parlando di una bevanda che compare tante volte quante ne compare lui, il brandy! Il brandy è la bevanda più presente nella filmografia hitchcockiana. Ma poi, quando si parla di Hitchcock e cibo, vengono in mente anche le tematiche a lui care.

Lui poteva comunicare al pubblico su più piani. Ad esempio, Frenzy (1972) è pieno di cibo: la moglie del poliziotto che fa il corso di cucina e ci diletta per quasi tutto il film con manicaretti orrendi a base di uccellini con le olive, tutte cose che schifano il marito, personaggio, tra l’altro, molto ironico (ironia nera!), che rompe i grissini mentre si parla delle dita spezzate di una delle vittime!

Frenzy è permeato interamente da un connubio cibo/sesso (nel gergo sessuale, avere fame è anche avere voglia di fare sesso, no?). E poi, vista anche la sua mole, Hitchcock aveva con il cibo un rapporto compulsivo. Il momento in cui è stato più magro nella sua vita è stato quando ha seguito i consigli, guarda caso, di Grace Kelly: a metà degli anni ’50, ai tempi di Caccia al ladro (1955) era in formissima! Invece, era al massimo della sua opulenza all’epoca di Rebecca, la prima moglie (1940), quando pesava più di cento chili”.

Hitch guarda il pollo nel trailer degli uccelli

Hitch guarda il pollo nel trailer degli uccelli

Altri link tra Hitchcock e il cibo?

“Sì: torniamo all’umorismo nero con il trailer de Gli uccelli (1963). Per mettere, come sempre, lo spettatore in un gioco di specchi (i trailer di Hitchcock non sono i trailer del giorno d’oggi, che montano scene in maniera accattivante dando un ritmo che ci deve invogliare ad andare al cinema), Hitch girava dei veri e propri corti di cinque/sei minuti.

Con Psycho (1960) fa il tour della location, con lui che ti spiega le cose, ma ti parla anche di una donna alla finestra e comincia a prenderti in giro. Non ti dice la verità, ma ti dice quello che lui vuole che tu pensi. Nel caso del trailer de Gli uccelli, parte dai graffiti degli uomini delle caverne per arrivare a lui che taglia il pollo con forchetta e coltello, e poi lo guarda compassionevole!

È sofferente, perché prova compassione per gli uccelli in quanto ha appena finito di girare un film con gli amici pennuti, quindi meglio metterli in una gabbia dorata. E, mentre lui si bea del canarino in gabbia, arriva Tippi Hedren gridando ‘They’re coming! They’re coming!, ovvero ‘Stanno arrivando! Stanno arrivando!’. Quindi, per rientrare in argomento, il cibo permea veramente tutto il cinema di Hitchcock: la sua vita, perché era un buongustaio, i suoi film perché trova il modo di intrecciarlo a determinate tematiche”.

libro di sandro fogli

Se poi, oltre al cibo, pensiamo alle bevande?

“Del brandy già abbiamo detto. In Notorious – L’amante perduta (1946), lui stesso trangugia una coppa di champagne mentre Cary Grant e Ingrid Bergman arrivano all’angolo-bar per controllare la velocità con la quale lo champagne si esaurisce nella cassa, e noi sappiamo che, quando lo champagne sarà esaurito, a loro finirà il tempo. Ecco, il fatto che Hitchcock trangugi lo champagne contribuisce ironicamente ad accelerare i tempi. In quel caso, potremmo anche dire che la bevanda aiuta la suspense. Molto interessante!”.

Tu hai evidenziato però un’apparente paradosso nel rapporto di Hitchcock diciamo con l’enogastronomia: da un lato è un buongustaio (positivo), dall’altro un mangiatore compulsivo e bulimico, uno che mangia per i nervi (negativo)…

“’I film non sono pezzi di vita, ma pezzi di torta’, diceva Hitchcock. L’assimilazione del film a una cosa buona da mangiare lui ce l’ha. E siccome assimila l’aver paura a un godimento, a un’emozione, a una giostra, la sua visione è ‘io vi suono il cervello come se fosse un organo, un tasto per la paura, un tasto per la risata’. Venendo volentieri dietro al tuo ragionamento, ti rispondo che Hitchcock è quello che, a un certo punto, si è accorto che il cattivo non doveva avere più la faccia di Peter Lorre, con tanto di sfregio, perché il cattivo con il physique du role da cattivo lo sgami subito.

Hitchcock comprende l’importanza della bellezza del demonio: nascono i Joseph Cotten, i Ray Milland, i perfidi che uccidono donne (o meditano di farlo) belli e anche simpatici. Quindi, per tornare a quello che dicevi tu, dove sta scritto che un paffuto zio Alfred non possa spaventarci? A differenza, per esempio della ragazza nel tunnel buio alla Dario Argento.

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Tu hai parlato di paradosso: il cinema di Hitchcock è il regno dei paradossi! Si dice che Hitchcock abbia visto L’uccello dalle piume di cristallo (1970), di Argento, e che abbia detto la sua su quel ‘ragazzo italiano’. A me sa tanto di mossa pubblicitaria, però… chi lo sa? Può darsi. Ma sono convinto che gli avrebbe detto: ‘Dario, my boy, è troppo facile far paura con un’accetta che insegue una ragazza in un bosco!’

È facile com’è facile far capire una cosa allo spettatore del cinema muto mettendo una didascalia o, in un film sonoro, inserendo una battuta che si capisce che l’hai messa perché dovevi dire una cosa che dovevi dire. Ma qui parliamo di un genio che, per far vedere il tempo che passava, faceva svanire le bollicine del bicchiere di champagne con le dissolvenze incrociate! Era un visionario vero! Infatti, io ritengo che i giovanissimi registi dovrebbero tutti realizzare, come esercitazione, almeno un film muto.

Per imparare a raccontare per immagini, tanto The Artist (2011) ci ha dimostrato che il muto può piacere pure oggi se fatto bene. Si può vedere La corazzata Potemkin (1925) anche ai giorni nostri! Basta avere gli strumenti per capire. Le competenze ci si creano, sì, con lo studio, ma anche facendo i collegamenti. Per esempio, rendendosi conto quanto il formalismo russo sia importante perla scena della doccia di Psycho. L’espressionismo tedesco e il formalismo russo sembrano cose da intellettualoidi, ma il buon Vittorio Giacci avrebbe detto che è tutto collegato. Non puoi parlare della nouvelle vague senza parlare del neorealismo italiano: è quasi una conseguenza!”.

Anche perché alcuni registi dicevano di non andare a vedere i film degli altri e invece non era vero per niente. Pure Fellini sosteneva di non guardare le opere degli altri registi, ma era solo una delle sue dolcissime e mitiche bugie. Forse chi davvero ha visto un po’ meno è Rossellini…

“Non lo so. Certo è che, alla fine della seconda guerra mondiale, arrivarono tutte le pellicole sequestrate dai nazisti durante il conflitto, quindi impossibili da vedere prima. Immagina quando arriva Quarto potere di Welles nel 1947 cosa possa succedere a quei ragazzetti della Cinémathèque française, come Truffaut! Per questo mi rifiuto di pensare che, fra i cineasti italiani, non si sia subìta la fascinazione di questo allagamento di pellicole, di questo ‘conguaglio’ di film! Cary Grant, Katharine Hepburn, Gregory Peck, Spencer Tracy”.

psyco

Abbiamo parlato del cibo, del bere e del gusto, ma, per Hitchcock, che cos’era il viaggio?

“Sulla scia della letteratura inglese – pensiamo ad esempio ad Assassinio sull’Orient Express, del 1934 -, nel 1938 Hitchcock porta sullo schermo La signora scompare di Ethel Lina White, pubblicato nel 1936. In quel periodo, la letteratura inglese era molto ricca di treni e, in generale, mezzi di trasporto: in un posto chiuso, un thriller è più claustrofobico, no?

Anche Intrigo internazionale (1959), anni e anni dopo Il Club dei 39 (1935), ce lo conferma, anche se, in questo caso, devo dire che Hitchcock sta in una tendenza, che non è solo sua, è proprio culturale. La letteratura influenza ovviamente il cinema e le cose vengono di conseguenza. Ma c’è dell’altro. C’è un viaggio che lui non ha potuto fare e che senz’altro lo ha influenzato moltissimo.

La madre di Hitchcock muore in Inghilterra nel 1942 e a causa della guerra lui non può tornare nel suo Paese. Quindi, lei muore senza che lui la possa rivedere. È abbastanza sintomatico che, dal 1942 in poi, dopo L’ombra del dubbio (1943), nei suoi film non ci sono più madri positive. A parte quella de L’uomo che sapeva troppo (1956), che non vale perché è un remake della sua pellicola del 1934. La figura materna diventa, all’estremo, la signora Bates di Psycho che ancora influenza i vivi, un po’ come Rebecca, la prima moglie (1940). Questa tematica della persona morta che ha poteri sui vivi, peraltro, la ritroviamo in tutto Hitchcock. La Carlotta Valdes de La donna che visse due volte (Vertigo, 1958), benché sia metafisica (in realtà è un bluff), è però apparentabile a Rebecca e alla signora Bates”.

Bello questo: il viaggio che Hitchcock non ha potuto fare è un terminus post quem per il cambio di interpretazione della figura della madre. Ma c’è un viaggio che, invece, ha potuto fare?

“Amava andare a trovare il principe Ranieri e Grace Kelly, insieme ad Alma Reville. Noi tutti conosciamo la sua fissa, la ‘sindrome da Vertigo’ che gli è presa ai tempi di Tippi Hedren: ha fatto alla povera Tippi quello che Scottie fa alla povera Judy per avere Madeleine senza sapere che è già Madeleine. Quindi, nonostante avesse sofferto questa separazione, la leggenda vuole che lui non abbia perdonato Roberto Rossellini perché era un concorrente, quando portò via Ingrid Bergman, ma che abbia potuto chiudere un occhio con Ranieri perché era un principe. Da inglese, non da uomo di Hollywood!

Poi, si sa, Hitchcock ha chiuso la carriera da grande esperto di marketing, quinto azionista della Paramount. Io credo che Psycho sia stato veramente l’unico momento di suspense economica che abbia avuto della vita, perché si impegnò la casa. Per il resto, era padrone di se stesso e di quello che faceva. Sono però convinto che sapesse perfettamente che Complotto di famiglia sarebbe stato il suo ultimo film. Ci sono alcuni indizi che ce lo confermano. Preparava The Short Night, ma sapeva che non l’avrebbe girato”.

 

E di te, Sandro Fogli, cosa ci racconti?

“Pochi mesi fa, ho completato la seconda stagione di Cuori, perché, negli ultimi cinque anni, ho collaborato con Riccardo Donna, più o meno dall’epoca della serie La strada di casa, alternando i suoi set con l’insegnamento e con un pezzettino di cuore che continuava a guardare ai libri”.

Ricordiamo che Sandro Fogli, oltre al citato libro su Hitchcock, ha pubblicato anche Truffaut e la pellicola interattiva (2013, Romano Editore).

“Vorrei tornare a scrivere – prosegue Fogli -, ma non necessariamente esegesi. Sto cercando il soggetto per un mio cortometraggio. Sto cercando di rilanciare entrambi i saggi su Hitchcock e su Truffaut. Sto scrivendo una cosa nata come ‘butto giù qualcosa durante la quarantena’ e non si sa che cosa è diventata. Un romanzo? Un podcast? Un soggetto per un corto?

È complicato, perché è molto autobiografico. È la storia di uno che, nel periodo fra marzo e maggio 2020, si innamora del proprio vicino di casa, ma in realtà serve a raccontare me stesso, la mia passione per il cinema, la filosofia buddista! La storiella di quarantena è un filo conduttore. Ne è nata una pagina Facebook, dove, una volta la settimana, esce un ‘capitolo’. La pagina Facebook si chiama Stregato. e il punto fa parte del nome. La trovate qui: https://www.facebook.com/profile.php?id=100090772364084”.

sandro Fogli

Sandro Fogli