icolo di Enrico Zoi per la rubrica: “Il libro è servito” –
Che cosa mangia ai pasti principali l’ultimo uomo della terra?
È forse una domanda un po’ eretica o irriverente al cospetto di una situazione quanto mai distopica quale quella in cui si trova Robert Neville, il protagonista del romanzo di Richard Matheson “Io sono leggenda” (“I am legend”).
Tuttavia, è un interrogativo che mette, o per lo meno può indurre curiosità.
Prima, però, due parole sul libro, che è un classicissimo della letteratura distopica, un romanzo di transito, un saggio di individualismo esistenziale e di teoria della sopravvivenza. Perché quando sei, appunto, l’ultimo uomo al mondo, hai il compito – che tu lo voglia o no – di costruire e ricostruire regole e speranze di vita senza fermarti mai. Perché i vampiri incombono. Perché le parole di Matheson non ti aspettano, devi inseguirle. E solo dopo capirai.
Due film da uno stesso testo
Corre l’obbligo, poi, di ricordare almeno due film tratti da questo testo. Il più famoso è sicuramente “Io sono leggenda” (“I am legend”), del 2007, di Francis Lawrence, certo molto ben fatto, con un Will Smith in forma, ma traditore dello spirito del romanzo, che ne esce banalizzato.
Molto meglio vanno le cose con “L’ultimo uomo della terra” (“The Last Man on Earth”), del 1964, dell’italiano Ubaldo Ragona, con il grande Vincent Price.
Ma cosa mangia davvero l’ultimo uomo sulla terra?
Ma torniamo alla domanda iniziale. Robert Neville, ultimo uomo della terra, se la colazione è “sbrigativa”, sceglie “un bicchiere di succo d’arancia, una fetta di pane tostato, e due tazze di caffè. La finì alla svelta, rimpiangendo di non avere la pazienza di mangiare lentamente”.
Se, al contrario, rievoca momenti perduti, quando la moglie era ancora viva e la terribile attualità in cui gli tocca sopravvivere era ancora di là da venire, allora la colazione ha altri sapori e profumi: “Di solito la trovava ai fornelli a cucinare le uova, friggere pane imburrato o pancake, preparare il caffè”.
Il pranzo in tempi di distopia? “Entrò in casa, si lavò le mani, e preparò il pranzo: due sandwich, qualche biscotto e un thermos di caffè bollente”.
La cena? “Era fermo davanti all’enorme congelatore a scegliersi la cena. Il suo sguardo sfiancato si spostò dai mucchi di carne alle verdure surgelate, e poi ancora giù a pane e dolci, frutta e gelato. Scelse due braciole d’agnello, fagiolini e una piccola confezione di sorbetto all’arancia. Tirò fuori i contenitori dal congelatore e chiuse lo sportello con il gomito. Poi si avvicinò alla montagna di scatolette accatastate fino al soffitto. Prese una lattina di succo di pomodoro, quindi uscì dalla stanza che un tempo era appartenuta a Kathy [la figlia] e ora apparteneva al suo stomaco […]. Versò una piccola quantità d’acqua in un pentolino e lo spostò rumorosamente sul fornello. Poi fece scongelare le braciole e le mise sotto il grill. Ormai l’acqua bolliva e ci versò i fagiolini surgelati, poi li coprì, pensando che forse era la cucina elettrica a succhiare tutta la corrente del generatore. Al tavolo si tagliò due fette di pane e si versò un bicchiere di succo di pomodoro. Si sedette e guardò la lancetta rossa dei secondi che ruotava lentamente sul quadrante dell’orologio. Quei bastardi sarebbero arrivati a momenti”.
Un’altra volta, mentre, con il calare delle tenebre, i vampiri riprendono il loro assedio alla casa di Neville, si materializza una cena dalla calma solo apparente: “Quando arrivarono le dieci, quella sera, gli faceva ormai male la testa e gli occhi sembravano due grumi gelatinosi. Scoprì di avere una fame feroce. Tirò fuori una bistecca dal freezer, e mentre cuoceva si fece una doccia veloce […]. Insieme alla bistecca si versò un bicchiere di vino e si stupì di apprezzare il gusto piacevole di entrambi. Il cibo di solito aveva il sapore del legno. Oggi dev’essermi tornato l’appetito, pensò. E poi non aveva bevuto un solo goccio di whisky. Cosa ancor più sorprendente, non ne aveva sentito il bisogno. Scosse la testa. Era dolorosamente chiaro che i superalcolici erano per lui una consolazione. Mangiò la bistecca fino ad arrivare all’osso, e rosicchiò anche quello. Poi portò il vino che restava in soggiorno, accese il giradischi, e con un verso stanco si sedette nella poltrona”.
Già, il whisky: come il caffè bollente e l’aglio, torna spesso nella vita di Neville. Difficile, in una situazione come la sua, resistere al suo richiamo. Come pure, arduo rinunciare alla botta di vita e di energia del caffè. Impossibile, poi, fare a meno dell’aglio, necessario, come i paletti e le croci, a combattere i sanguigni assedianti.
Ma leggetelo questo romanzo di Matheson. Non fatevi trarre in inganno dal mio racconto enogastronomico: sono stato attento a non spoilerare praticamente niente, o quasi, della trama e a far sembrare la storia una “normale” vicenda di vampiri. Non è così…
“Io sono leggenda”, di Richard Matheson. Il libro è servito.