Articolo di Enrico Zoi per la rubrica “A tavola con ” – A tu per tu con Massimiliano Buzzanca, attore e conduttore per il piccolo schermo… per dedicare questa nuova tappa di ‘A tavola con…’ al suo genitore, il mitico – possiamo dirlo – Lando Buzzanca, volto noto, anzi notissimo, del cinema e del teatro italiano. Interprete e cantante, Buzzanca padre nasce a Palermo nell’agosto del 1935 e se ne va a Roma nel dicembre del 2022.
113 film di successo all’attivo per lui e una maschera molto italiana e indimenticabile. Il nostro ricordo personale è legato a un’intervista telefonica che realizzammo con lui nell’ormai lontano 1997: una persona gentilissima, un signore che si percepiva tale anche solo tramite la cornetta, perché all’epoca i telefoni avevano ancora le cornette.
L’intervista: un ritratto dettato dal cuore
Ma non divaghiamo e diamo la parola a Massimiliano Buzzanca, il quale, come leggerete, dà del papà un ritratto dettato dal cuore…
“Bisognerebbe dividere la sua vita – inizia -, fra quella prima dei 78/80 anni e la seconda dagli 80 anni circa in poi. Io mi ricordo un papà molto frugale, non un grande amante del cibo e del bere. A tavola non pretendeva granché. L’importante era che, per esempio, la pasta (meglio la pasta lunga di quella corta) fosse cotta al dente come diceva lui. Anche se c’erano mia madre e una donna che aiutava lei a cucinare, papà stava in cucina tipo corvaccio e a un certo punto diceva ‘fammi assaggiare la pasta’ e, al suo ‘scola!’, immediatamente doveva essere scolata.
Pretendeva, non gli piaceva, pretendeva proprio la pasta al dente. La voleva per forza in quel modo. Poi per il resto amava come cucinava mamma, che ogni tanto lo deliziava con le sarde fritte: marinate con olio e aceto, passate con una spolverata di farina e fritte nell’olio bollente, ma proprio appena appena, e poi subito scolate. Un’altra cosa per cui papà impazziva (e anch’io impazzisco!) era una versione molto casalinga della Norma, ossia: pasta con il sugo che doveva essere cotto e bollito per tante ore a fuoco lento, come si fa di solito a Napoli, e poi con le melanzane tagliate fini fini, anche quelle fritte, ma in maniera veramente leggera (papà era molto attento al fegato!), quindi scolate subito e in modo perfetto. E poi non condita immediatamente, o meglio: pasta al sugo condita, e poi eravamo noi ad aggiungere le strisce di melanzane. Erano di una bontà unica! Il mio sapore di famiglia era questo tipo di pasta, che come lui adoravo”.
Hai parlato prima di un papà attento…
“Sì, lo era. Sia esteticamente, sia per il suo lavoro, odiava il grasso. Appena mamma gli faceva notare… ‘hai un po’ di pancetta!’, non è che si mettesse a dieta, però si autoregolamentava. Sapeva che doveva mangiare solo quello. Per esempio, passati i quarant’anni, ricordo che a cena mangiava solo verdure cotte, tutte ma soprattutto la bieta, e poi spinaci e cicoria. Solo bollite e condite con olio e limone, raramente ripassate. Lui cenava con quello. Stessa cosa in tournée.
Di questo io, che sono un po’ più amante del cibo, ero un po’ invidioso. Lui, invece, ovunque andasse, era sempre sempre molto attento. Per quanto riguarda l’estate, amava moltissimo mangiare il pesce. Nei mesi che passavamo al Circeo, quindi più o meno fino al 1986, facevamo delle mangiate di pesce pazzesche. Papà era nato, sì, a Palermo, ma, durante i bombardamenti della città, stava a Mazara. Aveva più o meno 8-10 anni. Ecco, in quel periodo imparò a riconoscere l’odore del pesce fresco: a occhio nudo capiva addirittura se il pesce era stato pescato da un’ora o da un’ora e mezzo! Il pescivendolo lo odiava! E papà amava mangiare il pesce con lo champagne”.
Come la spieghi?
“Ma sai, fino più o meno alla metà degli anni ’60, quando è diventato Lando Buzzanca, papà aveva fatto la fame vera, perciò per lui la tavola imbandita era quella con lo champagne, rigorosamente Veuve Clicquot. Lui amava il Veuve Clicquot e basta. Infatti, avevamo casse di Veuve Clicquot al Circeo. Aveva poi un debole per l’aragosta. Diciamo che, per lui, astice o aragosta era quasi uguale, però se c’era l’aragosta era meglio.
Non tanto per il gusto, benché sul gusto dell’aragosta non si possa naturalmente dire nulla, quanto perché, secondo me, nella sua psiche, l’idea dell’aragosta e dello champagne la vedeva come sintomo del suo essere benestante e di poterseli quindi permettere: della serie ‘dopo tanti anni in cui ho sofferto la fame, adesso me la godo!’. Pure il caviale era cibo da ricchi, ma non gli è mai piaciuto. E comunque anche l’aragosta la mangiava in modo molto semplice: presa, bollita, tagliata e mangiata. Non ci metteva nemmeno un po’ di maionese, che per lui rovinava il gusto del crostaceo. E in effetti aveva ragione!”.
Altre pietanze?
“Non amava la pizza. Non l’ha mai mangiata fino agli 80 anni. Non era amante dei dolci, a meno che non fossero o cassata o cannolo. Ma il cannolo doveva essere fatto lì per lì. Anche questo penso che nascesse dal fatto che, da bambino, cassate e cannoli non li ha mai potuti avvicinare perché costosi. Quando ha avuto dei soldi da spendere, ha voluto il cibo che desiderava da piccolo. C’era un richiamo psicologico.
Probabilmente pensava alle tavole imbandite dei matrimoni in cui si intrufolava a 6/8 anni, per poi esserne cacciato a calci nel sedere! Con suo fratello, lo zio Ino, entravano nei pranzi nozze o nei battesimi e cercavano di mangiare quello che potevano. Da ragazzini, per mangiare, si fa questo e altro! Quelle tavole gli devono essere rimaste in testa. Ricordo anche il suo rigore pazzesco con il cibo: se diceva di mangiare due fette di carne, ne mangiava due. Non diceva mai ‘vabbè, ne è rimasta una, la mangio’. Sarà che era della Vergine, sarà che era quadrato e ‘tedesco’ di suo, ma non ha mai esagerato: la sua dose era quella e quella doveva essere”.
Lo ricordo come una persona elegante…
“Sì, pure a tavola. Anche se si mangiava solo la pasta, pretendeva che la tavola fosse apparecchiata come si doveva: coltello a destra, due forchette a sinistra, coltello e posate da frutta e da dolce indipendentemente dalla presenza o meno di frutta e dolce. E tutti i bicchieri al posto giusto. La tavola doveva essere sempre elegante e da signori. E se vedeva che noi figli, soprattutto da ragazzini, stavamo ingobbiti o con le gambe accavallate sotto il tavolo, ci rammentava che il signore si vede dalla tavola. Anche nei dettagli. Se sei elegante a tavola, lo sei ovunque tu vada.
Tant’è che, quando ho fatto l’allievo ufficiale, ero l’unico ufficiale che mangiava da ufficiale! Altro esempio: se c’era il pollo arrosto, ci faceva mangiare la coscia con forchetta e coltello e decideva lui quando era il momento di passare alle mani. Vedeva che c’era rimasto pochissimo da spolpare e diceva ‘lo puoi spolpare’. E io non l’ho mai visto usare le mani con pollo, bistecche o costate: come se fosse un chirurgo, tagliava tutto quello che c’era da tagliare, toglieva tutto il grasso e i nervetti.
Il prosciutto? Forchetta e coltello, papà tagliava via tutto il grasso. E se ci vedeva che mangiavamo il grasso del prosciutto (che è buono!), diceva ‘guardate che il grasso fa venire il cancro’. Ci ha inculcato un modo di mangiare come se fossimo dei prìncipi. Neanche i Reali d’Inghilterra hanno avuto un insegnante così categorico! Pensa che non è mai venuto a tavola in vestaglia, si cambiava sempre prima dei pasti.
Poi non era un crapulone alla Ugo Tognazzi: papà amava il tartufo e se lo invitavano alla sagra del tartufo ci andava, ma non l’acquistava apposta. Né gli piaceva chi a tavola aveva l’atteggiamento dell’affamato, tutt’altro! Anche perché, almeno tra 1955 e 1960, papà non aveva i soldi per fare pranzo e cena, ma neanche pranzo, forse solo per colazione, e spesso glieli dava il barista. Eppure non si è portato mai a tavola questo ricordo della fame patita”.
Ma non c’entrava la componente professionale?
“Certo, papà sapeva che, facendo l’attore, doveva essere magro, anche solo perché, fisicamente parlando, la televisione ti porta cinque chili in più. E poi lui faceva spesso il protagonista e doveva stare ancora più attento di me, che sono più caratterista che attore principale e faccio molto più teatro. Papà si rendeva conto che, se voleva continuare a fare il protagonista, doveva rimanere fisicamente integro”.
Ti ricordi qualcuno dei suoi film dove ci fosse al centro il cibo?
“Ricordo un film con un giovanissimo Pippo Franco in una particina, con Barbara Bouchet e Orazio Orlando (bravissimo!): Il debito coniugale, del 1970, di Francesco Prosperi. Lì c’è una scena in cui loro stanno a tavola, portano delle pietanze (fra cui, se ben ricordo, un pollo), e papà si avventa su questo pollo come se non mangiasse da anni. Quando vidi questa scena, capii che non era così convincente.
Non che fosse forzato, ma nemmeno naturale come in altre scene. Rideva e mangiava, mangiava e rideva e lì ho pensato che non era una scena adatta a lui. Perché anche in quello era elegante, troppo elegante per fare uno che sta morendo di fame e si abbuffa con il grasso che gli cola fra le mani. Forse non voleva far vedere di aver sofferto la fame vera. Il suo intimo non l’ha fatto vedere, l’ha solo raccontato. Non ha fatto come Totò in Miseria e nobiltà con gli spaghetti in mano. Orazio Orlando, invece, se la godeva molto di più a mangiare con le mani!”.
Se avete voglia di vedere o rivedere il film lo trovate a questo link: QUI
Parliamo di viaggi…
“Il viaggio era per lui una terribile rottura di scatole. Una volta, lo chiamano da Los Angeles per proporgli un film. Lui risponde ‘molto volentieri’. Gli mandano la sceneggiatura, la legge, poi si risentono: ‘bellissimo, mi piace, bene, bene’. E loro: ‘quando vieni a Los Angeles per girare?’. ‘No, venite voi in Italia a girare. Io non mi muovo’. Per un periodo ha avuto anche una sorta di fobia dell’aereo: se era costretto, lo prendeva, ma stava tutto il tempo teso e prendeva dei calmanti. Sentiva l’ansia del volo, soprattutto il fatto di dover stare fermo seduto per tante ore. Non che fosse claustrofobico, ma questa cosa di non potersi alzare gli dava fastidio.
Per questi motivi spesso ha rifiutato dei ruoli. Poi viaggiare ha viaggiato: è andato in Sudamerica. Sempre per lavoro. Non ha mai fatto viaggi di piacere. Certo, quando papà è stato un mese e mezzo a Città del Messico per un film, noi stavamo al mare ad Acapulco: allora, a Natale, ha preso dieci giorni di ferie e si è fatto la vacanza con noi. Però se l’è fatta all’interno di un viaggio di lavoro. Mio fratello vive a Bangkok, in Thailandia, e l’ha invitato spesso a passare del tempo da lui, ma non c’è mai andato. Mia madre, al contrario, ha fatto il giro del mondo!”.
Ma lui nemmeno mete vicine?
“No, aveva una casa ad Amelia e una al Circeo e lì andava se aveva voglia di una vacanza. Voleva le sue comodità, la sua casa (sei camere da letto e sei bagni!), un villone: non gli importava andare in un albergo anche a dodici stelle, dove però si sentiva sempre e comunque ospite e doveva stare al menu che c’era. In genere, prendeva pasta al sugo o il pesce. Il pesce se lo faceva portare prima di cuocerlo perché lo voleva vedere e dare il suo ok. Anzi, nei ristoranti guardava se c’era la vasca, cioè il pesce fresco. Se no non mangiava il pesce. In questo era pazzesco”.
E dopo gli 80 anni?
“Gli è cambiato il gusto, anche per le sue problematiche. Ha cominciato a confondere i gusti: pizze e pizzette. Noi gli facevamo notare che non le aveva mai mangiate. Pensa che, quando eravamo a Napoli con un suo spettacolo, andammo alla Pizzeria Regina Margherita e lui ‘io non mangio la pizza, che vengo a fare?’. Forse prese il fritto di pesce di paranza. Calamari e gamberi no, a lui piaceva il pesce, non molluschi e crostacei fritti. Questo era papà”.