Articolo di Enrico Zoi per la rubrica A tavola con… –

Lucio Fulci (1927-1996) è uno dei registi cinematografici italiani più cult e più originali. Un ‘terrorista del genere’, come amava definirsi, per il suo entrare a gamba tesa nel cinema di genere per inserirvi quella che sempre lui chiamava ‘la bomba che tenta di far deflagrare il genere’.

Autore di autentici capolavori dell’horror (Zombi 2 e la Trilogia della morte: Paura nella città dei morti viventi, …e tu vivrai nel terrore!-L’aldilà – il preferito di chi scrive – e Quella villa accanto al cimitero), di gialli quali Non si sevizia un paperino, Sette note in nero o Una sull’altra, ma anche di commedie, di musicarelli e di film comici con Totò o Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Un suo grande estimatore è notoriamente Quentin Tarantino.

Lucio Fulci

Lucio Fulci

Il rapporto di Lucio Fulci con il cibo

Di lui, del suo rapporto con il buon cibo e il buon bere, parliamo con la figlia Antonella Fulci.

“Definirei mio padre un edonista diabetico, che alla prima sembra un ossimoro, ma non lo è! Lui era in realtà un edonista totale: ha dedicato tutta la vita al benessere, fisico ed economico, allo stesso modo quando stava bene e quando no – esordisce la Fulci -. Il pranzo doveva essere un piacere, la cena pure, però il diabete creava un po’ di problemi. Contemporaneamente viveva anche con le ‘marachelle’, chiamiamole così.Pareva che volesse lottare contro questa patologia. Ad esempio, quando si andava a pranzo fuori, qualunque cosa tu prendessi lui diceva ‘peccato che io non la possa mangiare’, e tu chiaramente gliene davi un pezzo e lui se lo divorava!

Quando è scomparso, noi, in quel momento in cui abbiamo alzato il materasso su cui giaceva, abbiamo trovato carte sparse di Kit Kat, Kinder Bueno e caramelline, di Ringo spezzettati… in pratica, dopo che aveva dato la buona notte, mangiava tutto ciò che non avrebbe potuto! A posteriori e in senso buono, lo invidio: fino all’ultimo giorno ha pensato e desiderato di mangiare bene, stare bene, ridere. Un grande dono, questo”.

Dal set di 'E tu vivrai nel terrore! L'aldilà'

Dal set di ‘E tu vivrai nel terrore! L’aldilà’

Qualche altro aneddoto legato al cibo?

“Un pranzo di nozze, che posso raccontare anche se non ero ancora nata. Mio padre era chiamato dagli amici ‘il maialetto’, perché, quando mangiava, si sporcava tutto. Ho trovato un vecchio filmato muto di famiglia in 16mm (che ho digitalizzato), relativo a un pranzo di nozze molto spartano del 1958, al mare, in cui papà fa un sacco di versi con il tovagliolo infilato nel colletto, come un bambino. Molto divertente. Illustra molto bene come era lui: ‘io sono il maialetto e allora me magno tutto!’”.

Elsa Martinelli e Marisa Mell in Una sull'altra 2

Elsa Martinelli e Marisa Mell in Una sull’altra

In generale, quali erano i suoi cibi preferiti?

“Bella domanda! Potrei rispondere: tutti! Qualunque cosa fosse gustosa al palato, lui l’adorava: pesce in ogni modo possibile e immaginabile. Parlava spesso di cibo. Se andava in un posto, per esempio in Austria, lui ti diceva: ‘si mangia da Dio’. Secondo lui si mangiava da Dio dappertutto. Poi andavi in quel luogo e non era proprio così. Magari lui aveva trovato ristoranti migliori dei miei? Il suo amore per il pesce ha creato in me un trauma insanabile. Io ancora adesso evito il pesce, perché, quando ero piccola, andammo al Salone Nautico di Genova e pranzammo lì.

Avrò avuto 9 anni, quindi ti parlo degli anni ’60. Ci portarono un trancio di non so che cosa, che io mangiai. Poi venne fuori che era una specie di delfino, non ricordo se lo disse il cameriere o mio padre. Sta di fatto che per me fu un trauma: da allora basta pesce. Poi più tardi gli fu diagnosticato il diabete. Io avevo 14/15 anni. Era convinto di averlo preso dalla Coca Cola che gli piaceva, anche perché allora questo si diceva. I primi anni, finché non subentrarono altri problemi di salute, sinceramente se ne fregò. E poi, con il lavoro che faceva, andava spesso in posti incredibili. Comunque, dovunque andasse, se telefonava a casa diceva: ‘qui si mangia benissimo’.

Tornando alla domanda, ti confermo che la risposta è il pesce, che prendeva dappertutto. Diceva che, quando era in Polinesia, lo mangiava appena pescato davanti a lui e che era una cosa fantastica. Papà dava un’importanza fondamentale, direi totale, all’alimentazione e al buon bere. La domanda della mattina, era: ‘cosa si mangia oggi?’. Anche negli ultimi tempi, quando gli si cucinava il pesce nel forno a microonde, qualche patatina ce la scroccava.

Inquadrava il mangiare come un piacere. In teoria, avrebbe dovuto mangiare riso scotto, ma, se lo avesse fatto, secondo me sarebbe vissuto di meno: non lo avrebbe potuto accettare. Quanto al bere, se comprava un vino lui, quello era il vino più buono che fosse stato mai realizzato dai tempi degli antichi Greci. Io non me ne intendo, ma lui si vantava di essere un esperto in qualunque cosa, ed effettivamente sapeva molto. Anche lì, però, quando capitava un amico e si bevevano un bicchiere di vino, papà si dilungava in elogi, spiegazioni e discorsi sul suo vino, per cui l’amico, pur se non gli piaceva, gli diceva di sì! Anche la birra gli piaceva molto, e non faceva grandi differenze: si beveva i suoi boccaloni alla faccia del diabete, ai tempi in cui ancora se ne fregava”.

Com’erano i pranzi o le cene di Natale o di Pasqua a casa vostr

Una lucertola con la pelle di donnaa?

“Dipende dall’epoca. Negli anni ’70, quando si risposò, la nuova moglie tentava di organizzare questi pranzi o cene. Poi, era tedesca, per cui erano pasti colossali. Però lui in quei casi non vedeva l’ora di andarsene, non gliene fregava niente. Lui il cibo se lo andava a cercare, aveva le sue fisse. Passato quel periodo, non è esistita più alcuna cena di Natale. Ma è stato meglio così: perché avremmo dovuto organizzarne se nessuno di noi era particolarmente legato alle festività?

Probabilmente non avevamo neanche tanto da festeggiare: mio padre non ha avuto una vita facile e poi ha lavorato tanto e per molti Natali non era neanche a casa. Però telefonava e diceva quello che aveva mangiato e in quale posto, magari assurdo, con descrizioni di pranzi che sembravano da film! Per noi Natale, insomma, era un giorno come un altro, tranne negli ultimi anni, quando chiedeva a una signora che ci aiutava in casa di preparare qualcosa per me che mi piaceva tanto e poi se la mangiava lui!”.

Un aneddoto da ricordare in particolare?

“Ce n’è uno che credo non dimenticherò mai, ma è uno, perché penso che i pranzi migliori se li facesse per conto suo quando era sul set. È una storia legata al cibo e all’amore di papà per la vela. Poteva rimanere senza casa, ma la barca la doveva avere, piccola o grande non importa. Insomma, la storia è questa. Papà aveva una barca a Fiumicino, dove c’era una trattoria infrattatissima: per arrivarci dovevi fare mille stradine. Effettivamente però lì si mangiava da Dio: pasta fatta in casa e cose simili.

Mio padre la chiamava la Trattoria di Zozzon Boy. La domenica, io ero a casa con il mio ex-marito e arrivava papà tutto contento per dirci: ‘adesso andiamo a farci una bella mangiata a Fiumicino da Zozzon Boy e poi ci riposiamo in barca’. E io a mio marito: ‘digli di no, digli di no!’. Però l’idea della pappata da Zozzon Boy ci piaceva tanto! Poi finiva sempre che, andando a Fiumicino, papà si fermava in un negozio di forniture nautiche e diceva: ‘visto che ci sono, compro due viti, anche se non devo fare niente’.

Poi da Zozzon Boy, mio padre si mangiava le fettuccine alla boscaiola e altre cose. Quindi si andava alla barca e tirava fuori la cassetta degli attrezzi, la metteva in mano a mio marito e lo faceva lavorare fino alla sera: sverniciare, pulire, mettere le viti. Papà a sedere con la pipa e quel poveraccio a faticare! Eravamo negli anni ’80, non so se Zozzon Boy esista ancora, ma resterà sempre nel mio cuore!”.

Ricordi scene dai suoi film con aspetti enogastronomici?

“Me ne vengono in mente tre. La prima da Una sull’altra (1969, con Jean Sorel, Marisa Mell ed Elsa Martinelli, disponibile su YouTube): coppia distrutta, tra loro non c’è più niente, l’odio che trapela da ogni parte, sono a cena e si percepisce una freddezza, una formalità… che stiamo a fare qui? Senti una pesantezza enorme. Forse anche da qui si vede quanto mio padre a tavola non fosse molto formale: queste cose per lui erano una perdita di tempo… si mangia dove capita… se stiamo bene insieme bene, se no chi se ne frega, basta che ognuno mangi bene. Tornando al film, capisci di più da quella scena cosa passa fra i due che in tutte le altre.

Una scena simile è nel giallo successivo, Una lucertola con la pelle di donna (1971, con Jean Sorel e Florinda Bolkan, disponibile su Prime Video): ancora un marito e una moglie insieme a una bella tavola, ma non si dicono nulla, non vedono l’ora di alzarsi, non ce la fanno. Mi hai fatto pensare proprio a come lui, alla tavola imbandita per la famiglia, desse una valenza di inutilità.

Il terzo film, il mio preferito di papà (insieme a Beatrice Cenci, con le scene nelle cucine dove arrostiscono i maiali, la cena, (disponibile su Prime Video), quando Buzzanca arriva nel castello del conte Dracula e gli dicono che si deve denudare, mentre lui è pieno di panciere! Da morire!

Paura nella città dei morti viventi

Paura nella città dei morti viventi

Cinematograficamente parlando, l’altro film che dicevo, Beatrice Cenci (1969, con Adrienne La Russa e Tomas Milian, disponibile su YouTube), è un’opera tecnicamente moderna, in certi momenti è davvero incredibile. Anche il montaggio, sempre comprensibile pur con questi salti temporali avanti e indietro nella storia che raccontano un’altra vicenda, è modernissimo.

Quando ho visto Pulp Fiction mi dava quell’idea lì. E poi secondo me quella di Beatrice Cenci era una storia meravigliosa, che dice tantissimo della condizione femminile. Tornando a Il cav. Costante Nicosia demoniaco ovvero: Dracula in Brianza, è una commedia divertente ed è la sua versione di Dracula: il protagonista parte per andare a combinare un affare in Transilvania, si annoia e lo invitano a questa festa piena di donne con un conte simpatico, accetta e diventa un vampiro succhiasangue dei suoi operai. È bellissimo anche il lato politico del film, che finisce con i suoi dipendenti in fila davanti a lui che gli danno il sangue. Questo nel 1973. Non ci vuole molto a sviscerare l’ideologia dell’autore! Ecco, ho detto tre film, ma alla fine sono quattro”.

E a te cosa ha lasciato: tu come ti poni di fronte al cibo?

“Io ho iniziato a cucinare molto presto per necessità: con il lavoro che faceva papà, difficilmente rientravi a casa e trovavi qualcosa di pronto. L’alternativa era andare al ristorante di fronte alla nostra abitazione, ma per una ragazzina non era proprio l’ideale: torna da scuola e mangia da sola… insomma. Quindi, chiesi alla signora che lavorava da noi di insegnarmi a fare il sugo, lo facevo la mattina, così quando rincasavo potevo farmi un piatto di pasta.

E cucinare mi piaceva un sacco, era creativo, così ho imparato. Cosa ho imparato? Piatti che dovevano essere molto saporiti ma con pochi ingredienti. Io sono molto golosa e non mi vedo in un rapporto equilibrato con il cibo: io a bistecchina e insalatina reggo al massimo quattro giorni poi mi butto dalla finestra! L’ora di pranzo e l’ora di cena per me sono un momento di piacere, il che probabilmente è ereditario”.

Un ritratto generale, da figlia a padre…

“Era un uomo libero, che ha pagato caro il voler fare sempre quello che voleva. E a posteriori non me la sento di dargli tutti i torti. E poi era una persona divertentissima. Tutti quelli che hanno lavorato con lui hanno confermato che a volte sforavano l’orario di lavoro, che in un’altra situazione si sarebbero arrabbiati e che invece manco si accorgevano del tempo che passava! Era galattico, raccontava loro qualche aneddoto e si ritrovavano ad aver girato un paio di scene in più rispetto al programma.

Del resto, il cinema era la sua vita anche al di fuori del lavoro. Da piccola mi mandava al cinema a vedere determinati film per lui. Quasi sempre era una sala parrocchiale di fronte alla mia scuola, ma io ci ho visto roba come Harold e Maude, Easy Rider, Un uomo da marciapiede, e poi un sacco di classici. Quando tornavo a casa mi chiedeva di raccontarglieli. Di questo lo ringrazio tantissimo, di avermi insegnato questa via di fuga dai problemi, dallo schifo che alle volte ti sommerge. Se non fossi dovuta andare a questo cinema parrocchiale oggi mi dispererei molto di più. Invece, prendo e mi guardo un film!”.

Antonella Fulci

Antonella Fulci