Articolo di Enrico Zoi per la rubrica “A tavola con…” – Chi non ha amato l’elegante comicità e l’ironia insieme popolare e raffinata di Raffaele Pisu? Per quelli della generazione di chi scrive l’attore bolognese è stato un compagno di viaggio sempre presente e divertente. Quante risate mi sono fatto con Provolino, ma non solo!
Antonio Pisu è figlio anche d’arte di tanto padre, essendo attore e regista di valore. Ricordiamo tre lungometraggi davvero interessanti e originali quali Nobili bugie (2017), dove dirige, oltre al padre, anche Claudia Cardinale e Giancarlo Giannini, il pluripremiato Est-Dittatura Last Minute (2020), con Lodo Guenzi come coprotagonista, e l’ultimo Nina dei lupi (2023), fantasy thriller con Sergio Rubini, Cesare Bocci e Sandra Ceccarelli.
A lui abbiamo chiesto di raccontarci simpaticamente il rapporto del padre Raffaele con il lato gastronomico dell’esistenza.
Antonio Pisu racconta Raffaele Pisu
“In famiglia, siamo tutti geneticamente legati molto al cibo, sia io, sia le mie figlie – spiega Pisu -, ci piace mangiare e siamo molto appetenti, soprattutto a determinati orari: non esiste saltare i pasti o sforare o mangiare a orari strani! Questo grazie a papà: lui poteva anche essere ospite della regina Elisabetta, ma, alla sua ora, doveva mangiare e fare il riposino!”.
Com’erano i pranzi familiari?
“Siamo stati sempre una famiglia piccola: io, mia mamma e mio papà. I nostri erano pranzi normalissimi e abbondanti: primo, secondo e frutta. Adesso vedo che, per una questione di tempo ma anche culturale, non esiste più il pranzo di una volta. Mio papà era del ’25, ha fatto la guerra e la fame, io ho saltato una generazione in pratica e ho avuto un padre anziano, perciò l’educazione che ho ricevuto è quella degli anni ’40 o ’50”.
Quali erano i suoi piatti preferiti?
“Era amante del fritto misto, in qualunque posto: il fritto misto e una bollicina. Quello è il piatto legato a papà”.
E i ristoranti?
“Io ho iniziato a fare tournée con papà da bambino: si mangiava ovunque, non siamo stati mai stanziali, ma continuamente in viaggio. La prima domanda che un attore di tournée pone quando arriva in una piazza non è ‘dov’è il teatro?’, ma ‘dove si va a mangiare’? È forse una cosa un po’ cinica, ma è così. Per questo non ho un ricordo particolare di un ristorante. Rammento però una tappa gastronomica in un luogo
che di gastronomia ha poco, la Svizzera, dove ci recavamo per andare al casinò: ci fermavamo sempre in un ristorante di Lugano a mangiare le cicche del nonno.
Niente di particolare: un piatto di gnocchi al pomodoro. Mi raccontava anche che, quando era giovane, lavorò pure con Aldo Fabrizi e che andavano al ristorante insieme. Ecco, Fabrizi era famoso perché entrava nelle cucine del locale a prepararsi da sé il piatto di pasta. Una testimonianza che mi ha detto tante volte”.
E papà cucinava?
“No, non cucinava. Rimasi un’unica volta con lui a casa da solo e mi fece un piatto di penne alla vodka! A un bambino di dieci anni: una cosa inimmaginabile!”.
E viaggiare gli piaceva?
“Viaggiavamo tanto. Io faccio lo stesso lavoro suo: domani sono a Siena, dopodomani in Spagna, poi da un’altra parte ancora. Il mio viaggio, come quello di papà, è sempre legato al lavoro: è difficile poi muoversi di nuovo nel tempo libero. L’unico suo viaggio che ha fatto con piacere è stato trasferirsi a Santo Domingo alla fine, un viaggio per non tornare”. Un’ultima domanda…
Il grande papà Raffaele che cosa ti ha lasciato?
“Se tu mi chiedessi cosa non mi piace mangiare non saprei rispondere, perché lui mi ha educato a non lasciare mai niente, a finire tutto. Mi piace la buona cucina e, differentemente da lui, amo cucinare. Mi ha lasciato la regolarità nell’alimentazione, una cosa importante che oggi si è persa un po’. Al di là di mio padre, tendo sempre ad ascoltare con interesse chi ha vissuto più di 90 anni senza avere avuto un’influenza
o un raffreddore e mangiando di tutto”.