Articolo di Roberta Capanni per la rubrica “Consigli di Gusto” – Pesto e teatro, un matrimonio riuscito quello a cui abbiamo assistito in questo mite settembre. Il palcoscenico è quello della Toscana e precisamente la Fortezza Medicea di Poggiponsi. Un grande perimetro di mura che si affacciano sulle colline toscane: da una parte il Chianti e il suo vino dall’altra San Gimignano con le torri e la sua vernaccia.
Cosa c’entra il pesto ligure?
L’occasione di questo mirabile matrimonio è data da quanto organizzato da “Teatro Gourmet”. Due serate che hanno unito il cibo e il teatro di qualità organizzate da Fondazione Elsa – Teatro Politeama in collaborazione con la taverna fantasy Passaporta e con Centro Commerciale Naturale Ass. Via Maestra.
La seconda serata era, appunto, dedicata al pesto alla genovese. Al Cassero della Fortezza complici atmosfera e panorama si è svolto un percorso che ha portato gli spettatori e, in questo caso, degustatori, dentro la tradizione ligure.
Aperitivo a base di specialità con l’immancabile e sempre invitante focaccia di Recco, la focaccia genovese, olive taggiasche, cagliata genovese prescinsêua (una specie di fiocchi di latte a metà tra la ricotta e e lo yogurt). Su tutto due valenti vini di territorio il Pigato, un vitigno arrivato pare nel 1600 in Liguria e l’Ormeasco di Pornassio ambedue della produzione della Tenuta Maffone.
Il luogo: la Fortezza Medicea
La fortezza venne costruita tra il 1488 e il 1511 su progetto di Giuliano da Sangallo ed è la realizzazione più importante tra quelle previste da Lorenzo il Magnifico per il rafforzamento delle difese territoriali. Dopo i saccheggi che le truppe aragonesi aveva portato a termine nella zona sud del dominio fiorentino, il Magnifico comprese che servivano nuove e più moderne postazioni di difesa. La sua morte e l’andamento della guerra tra Siena e Firenze lasciò incompiuta l’opera che era stata progettata come una vera e nuova città sul poggio che domina Poggiponsi.
Il teatro in tavola
Il teatro in tavola è cena che diventa spettacolo partecipato, ed è magia. Magia delle sere perfette di settembre, magia dell’osteria all’aria aperta, delle tovaglie campagnole e della bravura degli attori. Dopo l’aperitivo ligure e tante informazioni su cucina e vini, siamo stati condotti in un’altra ala del Cassero. La pietra antica, le luci ben disposte ci hanno accompagnato sull’aia dove gli attori ci hanno fatto accomodare ma in maniera “sparpagliata” per conoscere altre persone.
Davanti a noi, al posto del piatto, un bel mortaio in marmo di Carrara con il suo pestello, una profumata pianta di basilico fresco nel mezzo, alcuni spicchi d’aglio, e una bottiglia di olio ligure.
Che lo spettacolo abbia inizio.
Una madia piena di oggetti e un oste. Paolo Piano si è presentato così agli avventori: sarà un vero oste o un attore? Il Teatro del Piccione ha iniziato così “PESTO” un racconto ligure di Paolo Piano e con Danila Barone e, scene di Simona Panella e Danila Barone, Musiche Marco Cambri, realizzato in collaborazione con il consorzio tutela del basilico genovese DOP.
Mentre si attende un cuoco un po’ strano scappato dalla cucina, “l’oste” inizia il suo racconto ligure. La storia del pesto si intreccia ai racconti di Genova e della Liguria, si intrecciano vocaboli incomprensibili della meravigliosa varietà regionale italiana. Si parla dei camalli del porto e delle loro fatiche…
Il basilico è il protagonista di questo racconto profumato ma è anche la scusa per raccontare storie, fare teatro… in attesa del misterioso cuoco che non arriverà… E allor ai due attori/osti “improvvisano” e inizia la lezione su come si fa il vero pesto.
Ognuno nel suo mortaio ha messo l’aglio rosso di Vessalico, un aglio particolare che cresce in Liguria, nella comunità montana dell’Alta Valle Arroscia, nell’entroterra di Albenga. Il silenzio richiesto nel teatro viene da se, solo il pestare nei mortai. Arrivano i pinoli, il Parmigiano, poi arriva il basilico Dop, bello verde e già lavato, asciugato e sistemato con delicatezza in un grande scolapasta, si aggiunge il sale, si pesta.
Siamo tutti divertiti, guardiamo il nostro pesto con orgoglio, facciamo in giro d’olio e attendiamo che la nostra cameriera/attrice ci porti un po’ di acqua di cottura della pasta non bollente. Infine, arriva la pasta, linguine o trenette che noi con delicatezza uniamo al nostro pesto. Un rito quasi liturgico mentre si aspirano i profumi intensi e delicati, si affonda la forchetta nel mortaio bianco, ci si inebria delle note magiche dell’arte del racconto. E ancora si parla di olive e di vini, di fazzoletti di terra strappati alla montagna, di Bianchetta Genovese e del recupero bel Bianco di Coronata che lo scrittore e poeta Camillo Sbarbaro definì “Vinetto rallegrante”.
Gli incontri
Oltre allo spettacolo la cosa interessante è stata ascoltare i ragazzi che erano al mio tavolo due coppie sui 35 anni o forse qualcosa di più che facevano a chi era più bravo a fare da mangiare. Ognuno aveva fatto il pesto migliore, ognuno aveva creato piatti sublimi, tutti avevano imparato a fare un pane meraviglioso durante il lock down.
Una ragazza insisteva nel dire che per lei aveva il tocco magico per fare la pasta, l’altro rispondeva che lui aveva fatto dai pici in su. Sul vino poi sembravano usciti da un corso di degustazione senza però usare i termini tecnici propri di chi è sommelier.
Ad un certo punto è iniziata “la gara” del “ma tu sei stato da…” e la lista degli chef e dei ristoranti giudicati è stata un altro spasso. Insomma, mentre pestavo quel pesto profumato ho avuto modo di vedere “italiani” all’opera. Come nel calcio: tutti tecnici anche se non sono mai scesi su un campo di calcio, tutti Maestri di cucina con Stelle Michelin al seguito anche se non hanno mai frequentato una cucina di ristorante.
Che meraviglia gli italiani!