Già l’autunno è un invito a “divanizzarsi” per serate al caldo nel comfort di casa. Nel 2020 si è aggiunta l’emergenza sanitaria scatenata dal Corona Virus. Qui serve un’idea per non trascorrere a vuoto settimane composte di umidità, smart working e giornate ancora più brevi dettate dalla cautela.
Già a marzo era chiaro che l’orizzonte autunnale/invernale si sarebbe prospettato lungi da viaggi e movida, ma i numeri per nulla rassicuranti con cui ci svegliamo al mattino e andiamo a letto la sera hanno acceso la lampadina del piano B. Del mio piano B fa parte Vea Carpi e si incarna nella copertina rigida del libro “La mia Pasta Madre – Il pane, i dolci, la vita in montagna” (edizione Reatia – 24,9 euro), dove con la stessa soddisfazione di un bambino che gioca, affonda il sorriso in una mano piena di farina. Me l’ha segnalata la mia amica Francesca e non ho perso tempo a contattarla. A video (tanto ora è così) ha la stessa genuinità che trasmette dalla copertina del suo libro. Sembra un ossimoro qualcosa di genuino che passa dalla rete, ma grazie al cielo è possibile.
Dicevamo. Io non sono una cuoca, proprio per niente: in casa mia percorre un brivido alla Shining quando acclamo «Oggi cucino io». Preferiscono che mi occupi del vino e non hanno tutti i torti: sono piuttosto pigra nel seguire le ricette e mangiare i miei manicaretti è una roulette russa… una volta su tre devono intervenire i congiunti a salvare “capre e cavoli” con cotture e condimento in extremis. Pazienza, come dico sempre, ho altre qualità (dovreste vederli quando fanno la spola tra cucina e sala da pranzo per buttare un occhio nelle mie pentole fumanti).
Eppure Vea Carpi mi ha convinta ad aprire un ricettario perchè mi è piaciuta la storia di un’ex city girl che, innamorata di un montanaro, molla tutto e si butta tra le cime selvagge del Trentino a Mas del Saro.
Nel libro racconta della presa di coscienza sulla vita che davvero voleva, dei suoi bambini, della sua amica Irene Hager con cui ha scritto il libro, della sensazione ancestrale nel cucinare il pane, dei numerosi primi impasti fallimentari pur apparantemente banali (ho provato: banali un tubo). Insomma mi ha messo a mio agio sia in video sia in… carta stampata.
Già l’indice diviso per stagioni mi “garba” come si dice in Toscana: Autunno, Inverno, Primavera, Estate, dalla focaccia al pandoro, dalla Challah (treccia dello Shabbath ebraico) ai waffle al farro con avanzi di pasta madre. Ho preso coraggio e ho impugnato farina e pasta madre. Pane, pane, pane… eccolo a pagina 52, “Il nostro pane quotidiano” (mi piace questo nome).
Al mio solito ho scorso tutto velocemente, una volta individuati gli ingredienti (farina, pasta madre, sale e acqua) mi sono buttata sull’asse di legno da impasto scovata in casa (ohibò, qualcuno qui impasta e non sono io!) e ho affondato le mani nella farina integrale bio comprata durante il lockdown.
Ho raddoppiato le dosi suggerite da Vea a pagina 55, sperando di sistemare la family per un mese (impossibile: se commestibile sparisce in un batter d’occhio) tanto che a un certo punto avevo tutte le dita appiccicate e l’impasto aderente all’asse… al solito uno dei congiunti-guardiani è intervenuto buttando un po’ di polvere bianca sul ripiano e salvando la prima parte della mia lavorazione.
Comunque le pagine de “La mia Pasta Madre” sono spaziose, ci stanno anche i tuoi pensieri tra ingredienti e suggerimenti di Vea e Irene, e questo, insieme a delle foto che fanno venire voglia di annusarle, mi mette gioia.
Non mi smentisco mai: ho seguito solo l’incipit della ricetta di Vea, e facendo di testa mia stamattina ho avuto un scontro verbale (nel senso che verbalmente qualche omino con l’aureola l’ho nominato) con la carta forno a cui mi si è appicciato parte dell’impasto che ho fatto lievitare per 10 ore come suggerito dal testo sacro della pasta madre di Vea (i congiunti lo scopriranno da gustarviaggiando.com, perchè ho nascosto le prove… mica posso alimentare i loro timori culinari?).
All’impasto superstite ho aggiunto dei semi misti (zucca, lino e girasole) e l’ho infilato in forno stile baguette (Vea perdonami). Quanto il mio congiunto più congiunto è andato a controllare il forno perchè io ero impegnata in una di queste webinar che ormai ci scandiscono la vita, ha posato la mia versione de “Il nostro pane quotidiano” su un tagliere, ha indossato un sorriso che credo fosse di sollievo più che di soddisfazione (se non lo mangia apprezzando i miei sforzi, dormire sul divano è il suo piano B) ostendandolo al resto dei congiunti.
Nemmeno il libro di Vea Carpi e Irene Hager mi hanno reso la metodica paziente cuoca che a volte indossando un grembiule rosso a nido d’ape cerco di interpretare, però mi ha fatto venire voglia di aprire un ricettario, sfogliarlo, e credere che anche io posso realizzare qualcosa di commestibile, sano e gradevole. Ah, i congiunti confermano che questo giro della roulette russa l’hanno vinto e il mio “Il nostro pane quotidiano” con aggiunta di semi di zucca, lino e girasole era molto buono. E se ce l’ho fatta io…