Articolo di Enrico Zoi per la rubrica “A tavola con…”– Enrico Zoi intervista Niccolò Ariani
Eh Giorgio Ariani… quanti ricordi ho con questo attore di teatro e cinema grande in tutti e cinque i sensi! L’ho conosciuto alla fine degli anni ’70 grazie al mio mitico zio Piero Nenciolini, uomo di spettacolo per divertimento, e mi ci sono subito affezionato. Insieme, mio zio e Ariani – che ha dato per tanti anni la voce a Ollio e solo per questo merita un monumento! – interpretavano la sigla della trasmissione televisiva Scialamula, condotta da Giorgione su Tele Libera Firenze: facevano i muratori. E io stesso ho partecipato a una scena di un film dove lui aveva un ruolo drammatico declinato con rara potenza: ‘L’affarista’, diretto da un altro amico, Giuseppe Ferlito.
Tra l’altro, proprio all’epoca di Scialamula, invitato dallo zio, ho avuto anche l’opportunità di partecipare con il ‘Pierino’ Ariani e lui ad alcune sedute di lavoro dedicate ai testi del programma: naturalmente, in trattoria! Era Firenze, zona Soffiano.
Giorgio Ariani: l’oste dell’osteria del Gambero Rosso
Così, è stato molto naturale per me fiondarmi sul figlio Niccolò e interrogarlo enogastronomicamente parlando sull’illustre genitore…
“Beh, il babbo è stato l’oste dell’Osteria del Gambero Rosso del Pinocchio di Roberto Benigni – esordisce Niccolò -. Una parte forse piccola, ma già scegliere lui, all’epoca nel pieno della sua forma fisica (era arrivato a 166 chili di peso, poi cominciò a dimagrire perché non ce la faceva più), è significativo.
Il cibo per lui è sempre stato una costante. Il suo problema era che faceva lo spettacolo e poi andava a cena alle due o alle tre di notte, perché voleva recitare a digiuno. Giustamente. E poi amava mangiare bene e sapeva i nomi di tutti i ristoranti d’Italia: avrebbe potuto essere un’ottima Guida Michelin o un Google Maps dei giorni nostri!
Era una grande forchetta. Mangiava e se mancava il sale o era troppo salato, lui si alzava, andava dal cuoco del ristorante e glielo diceva. Poi se la ridevano perché il babbo aveva sempre la battuta. Però era rigoroso: ‘questo lo devi scaldare di più’, ‘questo ci devi aggiungere il sale’, ‘qui non hai scolato bene l’acqua’. Dava consigli agli chef: stava poco tra i fornelli, ma era tecnicamente esperto e quando cucinava era bravissimo. Negli ultimi anni si era specializzato nel microonde!”
In che senso?
“Nel senso che usava il forno microonde per cucinare. Mi ricordo un ottimo pollo alla birra fatto al microonde. Non lo usava per scaldare il latte o l’acqua o per il cibo già pronto: ci preparava l’intera pietanza e poi ti faceva sentire questo pollo alla birra eccezionale. Era specializzato anche in paté, quindi il crostino classico toscano.
Essendo separato dalla mamma, preparava barattoli interi di paté per crostini e li dava a me e a mia sorella Camilla. Anche quello era strepitoso: fatto a modo suo, buonissimo. Aveva una sua arte culinaria: poteva essere un Tognazzi, solo che, non avendo tempo, non aveva neanche la passione dell’attore cremonese per le amicizie e le mangiate tutti insieme.
Per lui la prima cosa era il lavoro: quindi, spettacoli e spettacoli. Non si fermava mai. L’ha fermato solo il tempo e quelle fasi che capitano in cui ti chiamano meno. Era dedito al lavoro. Anche se stava male, prendeva un’aspirina o – che ne so? – un antibiotico e andava in scena. Però, il mangiare era fondamentale. Doveva mangiare bene, sapeva mangiare e cucinare. E poi a me è rimasta davvero impressa questa cosa del microonde!”
Si capisce perché andava d’accordo con mio zio Piero!
“Due buone forchette! E tutti e due conoscevano i ristoranti. Il babbo, se era a Roma, andava dalla Sora Lella, della quale era molto amico, sull’Isola Tiberina, o in un ristorante sardo, oppure nelle trattorie vicino a via Teulada dove incontrava Fiorello o Pippo Baudo. Amava i saltimbocca alla romana e la carbonara.
Ci andammo anche dopo il provino per il Pinocchio di Benigni, che per lui aveva in mente due ruoli, ma quando lo vide, solo a guardarlo, disse: ‘Te fai l’oste del Gambero Rosso!’. La volta che al tavolo accanto incontrammo Fiorello, disse al babbo: ‘Con te io posso fare Stanlio, non posso fare altro!’.”
Ti ricordi qualcosa del set di Pinocchio?
“Io sono andato proprio quando lui girava le scene del Gambero Rosso, che purtroppo era il periodo in cui aveva male alla gamba. La scena, se non ricordo male, era in piedi e lui, appena finiva, si metteva a sedere. Benigni lo metteva sempre a suo agio. Eravamo a Papigno, in Umbria. Un posto sperduto, dove era stato ricostruito tutto, anche l’orto finto. Poi rammento che c’era la mensa per tutti gli attori, mentre Benigni volle che io e il babbo mangiassimo con lui. Un bel ricordo”.
Altri set di ricordi?
“Sì. Come no? Amici miei come tutto ebbe inizio, del 2011, di Neri Parenti. Lì il babbo aveva una piccola parte, quella del mercante di schiave che vende Ainette Stephens (questo il nome dell’attrice venezuelana). Eravamo a Santa Severa (Santa Marinella, Roma): un set bellissimo con il castello sul mare. Si dormi lì, ma il lavoro fu fatto dalla mattina alla sera, perché Neri Parenti era velocissimo.
Accompagnai io il babbo con la mia 500. Anche lì c’era un ristorante sul mare. Mi ricordo che arrivò un’assistente per chiedere cosa volessimo da mangiare e indicando le varie scelte del classico cestino. Noi eravamo stati però invitati a mangiare con i vari De Sica, Ghini, Panariello. Glielo dissi e lei si mise a ridere: ‘Sì, sì, dai, dimmi cosa volete’.
Infatti, poi fummo chiamati in questo ristorante sul mare dove, insieme a regista e attori principali, si mangiò benissimo e abbondantemente, naturalmente pesce. Girò anche del vino e non mi ricordo come abbiano potuto lavorare dopo! Io se prendo una birra a pranzo poi lavoro male, ma loro fanno un’altra professione e forse sono più bravi a nascondere! Ah, poi salutai quella assistente che non mi aveva creduto ed era scoppiata in una risata!”
Abbiamo parlato di cibo, ma con il bere come andava?
“Il babbo non era un grande bevitore. Gli piaceva il vino, ma faceva sempre una cosa che non andrebbe mai fatta: lo allungava. Era una fissazione. Quando arrivava il ristoratore e gli proponeva un vino particolare, lo assaggiava, ma poi ci metteva l’acqua e il ristoratore si suicidava!”
Ai suoi figli cosa ha trasmesso?
“Il gusto e il piacere del mangiare. Per il vino, a me piace e non lo annacquo! Magari, anche se non seguo una dieta, però sto più attento e diciamo che ho una sazietà più bassa: lui non aveva limiti! Da piccolo non mangiavo molto, quindi il babbo ha iniziato a ingrassare mangiando gli avanzi nostri. Oggi sarebbe giusto per il discorso degli sprechi, ma, con tre figli, diceva: ‘vieni, vieni, dallo a me!’. Camilla è la più portata a cucinare, è bravissima nei dolci. Io e Tiziana siamo più standard, con Camilla ai fornelli sei sicuro che è tutto buono. Anche la mamma sa cucinare, eh!”.
Siccome qui si tratta di gustare viaggiando, hai un ricordo particolare anche sul tema ‘viaggio’?
“L’autogrill era una tappa fissa dei nostri spostamenti. Perciò, da bambino degli anni ’80, rammento i viaggi Firenze-Milano per la televisione o Firenze-Roma per il cinema, in cui gli chiedevo di andare al classico Pavesi di sopra a mangiare la lasagna, sempre al self service.
Mi ricordo che vedevo gli zamponi e credevo che fossero le mani delle persone tagliate! Negli ultimi tempi, quando non stava più tanto bene, si andava a mangiare a Montelupo, al ristorante Il Pianeta. Ce lo portavo il sabato, nel mio giorno libero. Una volta, ero lì con lui e con la mia ragazza di allora. Il babbo vide passare un signore piuttosto malmesso che aveva già incontrato alla casa del popolo di Montelupo e lo invitò a tavola con noi.