Cento pagine non perfette, ma stimolanti, questo è, secondo noi, ‘La vergine e lo zingaro’, considerato dalla critica uno dei migliori romanzi brevi dell’eclettico scrittore inglese David Herbert Lawrence. Il libro è una piccola cascata di parole e sentimenti, che descrivono – a sprazzi, in sintesi e con le inevitabili e reali contraddizioni insite in certi aspetti dell’esistenza – situazioni di potenziale trasgressione, di amore più o meno riconoscibile o riconosciuto, di convenienze che si sposano con le convenzioni, ma non sanno risolversi in convinzioni.

Al massimo in convivenze difficili e portate a generare crisi. Due cuori e nessuna capanna per la vergine Yvette e la girandola di figure maschili – in primis lo zingaro del titolo – e femminili che le orbitano intorno. Un testo che si lascia leggere senza scavare più di tanto in profondità. Accenna, colora, come un drammatico acquerello. Regalando, tuttavia, alcune interessanti situazioni gastronomiche. Tali da renderlo degno di essere ‘servito in tavola’!

Il pranzo di Yvette e dello zingaro

A partire dal primo pranzo proprio di Yvette e dello zingaro, i quali, non da soli, gustano insieme uno stufato di fagioli e montone. Qui, più del menu, conta, però, l’atmosfera: bella, essenziale, pittorica.
Leggiamo: “Lo zingaro buttò via l’acqua con la quale si era lavato e s’avviò lungo la strada con una grossa brocca di rame e una ciotola per raccogliere dell’acqua pulita dalla sorgente che zampillava in una piccola pozza. Quando tornò sistemò la brocca e la ciotola vicino al fuoco, e prese un ceppo da usare come sgabello. I bambini sedettero in gruppo per terra, vicino al fuoco, a mangiare con il cucchiaio e le mani. L’uomo sul ceppo mangiava in silenzio, assorto. La donna fece del caffè nel pentolino che bolliva sul treppiedi e ritornò zoppicando nel carrozzone a prendere le tazze. C’era silenzio nell’accampamento. Yvette, seduta sullo sgabello, si era tolta il cappello e scosso i capelli al sole”.

 

La cioccolata di zia Cissie

Gustosa e, in un certo senso, nevrotica anche la descrizione della cioccolata della zia Cissie, solitaria signorina di famiglia: “Zia Cissie non faceva altro che mangiare cioccolata, con un continuo lavorio di mandibole. Viveva di cioccolata. Seduta in disparte, se ne metteva un pezzo in bocca e poi continuava a sfogliare la rivista parrocchiale. Poi alzava la testa e si accorgeva che era il momento della tazza di brodo della nonna”.

Menzoniamo, infine, la scena dell’ingresso di Yvette nella dimora degli Eastwood: “La casa era stata riscaldata con un sistema di stufe e non c’era angolo che non fosse caldo, quasi soffocante. E c’era la minuscola figurina rococò dell’ebrea, con un abitino perfetto e un grembiule, che disponeva delle fette di prosciutto su un vassoio, mentre il grande uccello da neve del maggiore, in maglione bianco e pantaloni grigi, tagliava il pane, mescolava la mostarda, preparava il caffè e il resto. Aveva perfino preparato una salsa di lepre da accompagnare al prosciutto e al caviale”.

Il tè, che ricorre più volte, e l’occasionale “delizioso profumo di biscotti caldi” (LEGGI la nostra ricetta dei biscotti d’amore)poco aggiungono al panorama gastronomico del romanzo, destinato, nelle intenzioni di Lawrence, più che altro a carpire l’attenzione del lettore sul piano psicologico, per aiutarlo a entrare meglio nell’intimità dei personaggi.

“La vergine e lo zingaro”, di David Herbert Lawrence. Il libro è servito di Enrico Zoi