A noi non piace dare brutte notizie ma quelle importanti da sapere sì. Non si può nascondere la testa sotto la sabbia. Ecco allora che ci piace condividere con i nostri lettori questo esperimento coordinato dai ricercatori dell’Università di Firenze e pubblicato sulla rivista Journal of Hazardous Materials documenta i danni allo sviluppo delle piante coltivate. In fondo all’articolo anche il podcast.
Le microplastiche hanno un impatto sui processi di sviluppo delle piante di cui ci nutriamo. È quanto emerge dallo studio coordinato dai ricercatori del Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze Ilaria Colzi e Cristina Gonnelli, in collaborazione con il team del Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Siena, che hanno sperimentato su una delle piante maggiormente coltivate in tutto il mondo, la zucchina, gli effetti della presenza nel terreno di quattro tipologie di plastiche. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Hazardous Materials.
Un probelma a livello globale
“Il rilascio costante nell’ambiente e la bassissima degradabilità dei polimeri plastici è un problema a livello globale – racconta Cristina Gonnelli responsabile dell’unità di ricerca Unifi -. Ad oggi il tasso di decomposizione delle micro e delle nanoplastiche (cioè dei frammenti e delle particelle più piccole fino a<0,1 μm), nel suolo è piuttosto sconosciuto e si presume che la loro persistenza e accumulo stiano innescando un drammatico impatto sugli organismi viventi, occorre dunque capire quali effetti tali sostanze inneschino sulla crescita delle piante di cui ci alimentiamo”.
La sperimentazione sulle piante di zucchine
Il team fiorentino ha scelto come pianta modello la variante più comune della zucchina, Cucurbita pepo, facilmente coltivabile e diffusa in tutto il mondo, per testare i possibili effetti tossici di quattro delle più comuni e abbondanti microplastiche che si rilevano nel suolo, soprattutto agricolo: polipropilene, polietilene, polivinilcloruro e polietilentereftalato.
Per la sperimentazione, che ha coinvolto i ricercatori Unifi Luciana Renna e Andrea Coppi, le piante sono state coltivate in condizioni controllate di luce e temperatura, in vasi di vetro contenenti terriccio miscelato a concentrazioni crescenti di microplastiche, somministrate separatamente in modo da valutare la tossicità di ogni singola tipologia di materiale.
“Abbiamo combinato un’analisi biometrica, cioè la misurazione di diversi parametri di biomassa e tratti fogliari, a una valutazione dei cambiamenti indotti dalla microplastica in termini di valori fisiologici, quali efficienza fotosintetica e contenuto di clorofilla – spiega Ilaria Colzi, prima firmataria dello studio -. È stata inoltre quantificata la concentrazione di elementi essenziali nei tessuti vegetali per valutare le variazioni indotte dalla microplastica nel profilo minerale della pianta, parametro che indirettamente interferisce sui valori nutrizionali della pianta stessa”.
Il PVC il più tossico
I ricercatori hanno verificato che tutte le plastiche testate hanno causato una notevole riduzione della crescita delle piante e dei parametri fotosintetici, oltre ad una variazione nell’assorbimento dei nutrienti. Tra i materiali testati, il polivinilcloruro, noto come PVC, è stato identificato come il più tossico, ovvero quello che ha causato i maggiori danni, soprattutto a livello di crescita fogliare, performance fotosintetica e riduzione di assorbimento del ferro.
“Grazie alla sperimentazione, abbiamo chiari quali siano le possibili conseguenze negative dell’inquinamento da microplastiche in termini di resa produttiva nei terreni agricoli – conclude Colzi – adesso dovremo valutare l’eventuale trasferimento di microplastiche dal suolo fino alla parte commestibile della pianta, un aspetto dalle notevoli implicazioni sulla salute umana”.