Non me ne vogliano le città che accolgono l’Arno al loro interno ma il fiume Arno e Firenze hanno una storia molto “personale”. Una storia antica che ne vede la nascita sotto l’occhio liquido dell’Arno e dei suoi tanti piccoli affluenti che avevano fatto della piana, che ha poi accolto la città, un “luogo fertile, ricco di acque e di vegetazione”.

Questo si legge nel bel libro di Andrea e Fabrizio Petrioli “50a.C. Firenze e L’Arno dal primo all’ultimo ponte” di Fabrizio e Andrea  Petrioli. Per una come me da sempre affascinata da questo fiume a carattere torrentizio e amaraggiata della tombatura dei suoi torrenti, questo libro è stato un respiro di comprensione. Un libro che apre ad un altro modo di guardare ad una città e al suo fiume e anche di viaggiare nel tempo e nello spazio. Per comprendere un luogo bisogna partire dalla sua storia. E noi partiamo da qui: Arno, 50c.C.

Arno: 50 c.C.

Un fiume senza argini che un tempo si espandeva e si ritirava nei periodi di magra. In alcune epoche storiche l’Arno  si divideva in rami detti “bisarni”, formando grandi isole.  I suoi 241 chilometri, nella piana alle pendici dell’etrusca Fiesole, trovavano spazio e torrenti che si gettavano, più o meno generosamente, nel grande fiume.  Un andamento inizialmente tortuoso per poi andarsene dritto verso il mare e l’altra sua città. Pisa.

Dante nel Purgatorio canto XIV  ne parla con cuore: Per mezza Toscana si spazia un fiumiciel che nasce in falterona e cento miglia di corso nol sazia. Leonardo da Vinci, ci raccontano Andrea e  Fabrizio Petrioli , da ragazzo si interessò all’Arno  come racconta il Vasari: “Ma nell’archietttura fè molti disegni così di piante come di altri edifizii e fu il primo anchora che, giovinetto, discorresse sopra il fiume d’Arno per metterlo in canale da Pisa a Firenze. Fece disegni di mulini, gualchiere et ordigni, che potessino andare per forza d’acqua”

 

L’Arno e i suoi torrenti nascosti

L’Arno e i suoi torrenti dicevamo. Tanti oggi quelli non visibili, tranne qualcuno in alcuni tratti, rimasti solo nel ricordo di vie. Scendevano liberi dalle colline per gettarsi in Arno ma nel tempo sono stati adattati alle nuove esigenze.   Su tutti il Mugnone che nasce da Vetta le Croci sulle colline di Fiesole. Oggi arriva nel quartiere delle Cure, riceve le acque del Terzolle, entra nel Parco delle Cascine e poi si getta in Arno.  Essendo il maggiore era usato per alimentare i fossati delle mura difensive e via via ha visto il suo corso spostarsi per far posto anuovi palazzi e nuove esigenze.

Sotto il palazzo Medici Riccardi, il palazzo di Via Larga, è ancora visibile il suo antico letto. Tra gli scavi di vecchie cucine del palazzo o antecedenti ancora più in profondità è riemerso lui: il Mignone. Passava di qui ed è davvero suggestivo vedere i lastroni  che scendevano verso il letto del torrente su cui, gli archeologi, hanno rinvenuto lo scheletro di un guerriero, un soldato che lì lascio la sua vita.  Il Mugnone il torrente dove “si trovano le pietre dell’invisibilità” collocate da Giovanni Boccaccio in una novella difine Trecendo ai danni del credulone Calandrino.

Affrico

Affrico, mensola e gli altri fossi

Ed ecco il Mensola che nasce a Settignano interrato negli anni ’50 del 1900 che si getta in Arno a Rovezzano. L’Affrico che nasce vicino, a Maiano, e  corre coperto per via Lungo L’Affrico per arrivare al fiume all’altezza di Lungarno del Tempio. Poca l’acqua che esce oggi, pare per un cedimento della volta, cosa che starebbe causando danni alle cantine di alcuni palazzi in zona ma al momento non ci sono notizie precise. Certo è che Africo e Mensola, pastore e ninfa del Ninfale Fiesolano di Giovanni Boccaccio hanno perso la loro poesia…
Rimanendo sempre dalle colline sotto  e intorno a Fiesole, nasce da San Domenico, il Fosso San Gervasio che si getta nel Mugnone.

Da Cercina nasce il Terzolle che accoglie a sua volta il Terzollina a Serpiolle dove un tempo si andava a far “erbe, passa per il quartiere di Rifredi e si butta nel Mugnone. La cosa interessante è che un tempo, ci raccontano sempre i nostri autori, si chiamava Rio Freddo e da qui il nome del quartiere.

Un fosso per l’acquedotto romano

Stesso quartiere lo attraversava il Fosso dell’Arcovata che parte dalla collina di Montughi. I Romani, fondatori di Firenze, utilizzavano queste acque per alimentare le terme cittadine e l’Arcovata erano appunto la serie di archi a sostegno dell’acquedotto.
Dalla collina di Careggi nasce il Fosso della Lastra che oggi passa sotto Viale Morgagni e si immette nel Terzolle.

Alla sinistra del fiume altri fossi e torrenti lo raggiungono. Il Fosso di Rocorboli che scende da Santa Margherita a Montici interrato in Viale Giannotti. Un tempo detto Rio Corbolo prende il nome di Ricorboli da un antico borgo fuori dalle mura della città.
Dall’amena collina di Pian dei Giullari arriva all’Arno il Fosso Gamberaia che , interraro attraversa Viale dei Colli.
Tombamento anche per il Fosso di Carraia che dall’Erta Canina scende in Arno alla pescaia. Nel 1700 fu interrato anche il Fosso dell’Erta Canina che parte dalla collina di Forte Belvedere per gettarsi in Arno. E ancora Fosso di San Rocco che da Poggio Imperiale passa per Piazza Tasso e Porta San Frediano e i Fossi Legnaia e Soffiano, anche loro interrati nei rispettivi quartieri, che vedono la luce in Arno a San Bartolo a Cintoia.

Foto tratta dal libro

Le attività sul fiume e “le bocche che ha sfamato”

L’Arno e le sue attività che hanno trasformato la città. La storia ci racconta di un fiume che serviva da canale navigabile per il trasporto delle merci sia dal Valdarno che verso Pisa. Ed è bello leggere in questo libro dei tanti mestieri che il fiume alimentava. Quante bocche ha sfamato questo fiume! Dai famosi renaioli ( i bucaioli della battuta fiorentina: “Bucaioli c’è le paste!”  oggi travisato), alle lavandaie, i cenciaioli, i conciatori di pelli, i tintori, i mugnai e i traghettatori con la lunga pertica chiamati navalestri.

Un fiume navigabile quindi con i suoi porti. Il primo, romano,  nell’area dell’odierna Piazza Mentana dove il fiume creava un’ansa ed era più facile attraccare. Un altro porto si trovava  fra il Torrino di Santa Rosa e Ponte della Vittoria nella zona del Pignone che da qui prende il nome. Vi nacque infatti un borgo detto del Pignone da pigna cioè un grosso muro costruito a protezione degli argini dell’imprevedibile fiume.

Tiratoio dell’Uccello di Piazza del Cestello

Mulini, Tiratoi e bagni.

E ancora mulini, tiratoi di proprietà dell’Arte della Lana, che davano vita ad una Firenze diversissima da quella che vediamo oggi, poi pescaie e tanti Bagni. Sì perchè il fiume non è stato solo navigabile ma anche balneabile anche se c’erano attività lavorative. Dal 1700 fino all’alluvione del 1966 che spazzò via quanto rimasto, i bagni erano un ritrovo. C’erano bagni per la “Firenze bene” e Bagni malfamati. In alcune cartoline di Firenze rimandano scene che potrebbero essere tipiche di Viareggio!

 

E i ponti sull’Arno

Una città che si espande ha bisogno di ponti. E non solo se si espande. Un guado esisteva dove il fiume si stringeva a cui pare si aggiungesse una chiatta con un canapo fermato sulle rive. Presto in quel 59 a.C. i Romani sentirono l’esigenza di costruire un ponte per unire le due rive. carreggiata in legno ma solide basi in pietra. Praticamente tra la piazzetta del Pesce e Costa San Giorgio. E mentre le alluvioni continuavano a imperversare i ponti continuavano ad essere costruiti e ricostruiti. Ce lo spiegano bene i nostri autori seguendo la storia di Firenze dalla sua fondazione in poi.

Porticciola d Arno

Ponte Vecchio e lo spiritello a protezione delle botteghe

E così il Ponte Vecchio distrutto dalla piena del 1333 e ricostruito  nel 1345  che come racconta il Villani nella Nuova Cronica: “… e costò bene 70.000 fiorini d’oro e fun ben fondato e largo 32 braccia, con la via che vi rimase larga 16 che fu troppo grande al nostro parere...”. Anche allora era difficile accontentare la gente…
Comunque sia il Ponte con le sue botteghe, oggi di orafi,  un tempo di macellai, erbaioli, pollaioli, pizzicagnoli aveva anche uno spiritello che proteggeva i commercianti che lo avesse invocato. Da notare che la sporgenza delle botteghe che vediamo oggi fu aggiunta nel 1700.

Ponte Vecchio

Gli altri ponti distrutti ,ricostruiti e i ponti a pedaggio.

E poi gli altri ponti con le loro storie fatte di distruzione dolorosa dovuta alla guerra,  e ricostruzioni fatte con amore. Dal Ponte Santa Trinita a quello alla Carraia anche lui con il suo bel fantasma.  Il Ponte alle Grazie che resse anche alla piena del 1333 ma non ai tedeschi nel 1944. Il Ponte San Niccolò in ferro fino al 1949 costruito come quello delle Cascine con una sola campata. Il Ponte alla Vittoria, sostituto del Ponte Sopseso costruito mel 1837 in ferro con grandi tiranti demolito nel 1932, costruito nel 1937, minato dai tedeschi e ricostruito nel 1957. Due ponti “a pedaggio”  “un soldo a testa compreso il bestiame” a favore dei progettisti e costruttori (francesi esperti in ponti in ferro), riscattati dla Comune di Firenze anche se il pedaggio fu abolito solo dopo la guerra.

Ponte San Ferdinando

Nuovi ponti come quello  l’Amerigo Vespucci della fine degli anni ’50 disegnato dall’Ingegner Riccardo Moranti e oggi, dopo Genova, accuratamente restaurato e consolidato. Il Ponte alla Vittoria, sostituto del Ponte Sospeso costruito mel 1837 in ferro con grandi tiranti demolito nel 1932, costruito nel 1937, minato dai tedeschi e ricostruito nel 1957.

Il libro continua con storie curiosità di Firenze sempre lungo l’Arno. Chiese, Lungarni, personaggi in un’atmosfera culturalmente preziosa che da spunti di approfondimento per chi ama la storia e anche l’evolversi della società.  Noi qui abbiamo solo  date qualche indicazione ma le curiosità sono davvero tante.  Tante le immagini d’epoca e una preziosa bibliografia per cui consigliamo caldamente la lettura del libro.

A questo aggiungiamo di pensare al futuro di questo fiume. Ci sono tante cose in ponte per l’Arno  ma legate alla visone del mondo, che è chiaro che sia cambiata, vecchia. Ci sono idee nuove in campo ma sono quelle che rimangono nell’ombra, professionisti che “hann  la visione”.

La galleria che passa sotto l’Arno all’altezza della Torre della Zecca. Foro di Roberta Capanni