“Chesil Beach”, romanzo di Ian McEwan del 2007, è un’ottima sintesi di piacere della scrittura e della lettura. Da un lato, l’autore gode delle frasi, delle parole, delle descrizioni che accompagnano Edward e Florence nelle loro vite parallele. Dall’altro, il lettore, al quale consiglio, come ideale colonna sonora, “Salirò” di Daniele Silvestri, si compiace e si lascia trasportare dall’andamento insieme lento e vorticoso di una narrazione che già nasce policroma, affettuosa, cinematografica.

Del libro esiste, non a caso, un adattamento per il grande schermo, “Chesil Beach – Il segreto di una notte”, diretto nel 2017 da Dominic Cooke, con protagonisti Saoirse Ronan e Billy Howle. Film sceneggiato dallo stesso McEwan.

Il Libro è servito: inizio con cena

Anche in questo caso, il libro è servito. Perché? Ma perché “Chesil Beach” inizia con una cena, anzi si svolge per la maggior parte del tempo nella cornice della cena che precede la prima notte di nozze di Edward Mayhew e Florence Ponting. Un po’ come dire… tutto in una notte.

Eppure, il cibo occupa poco spazio fra le pagine del romanzo, ma segue e accompagna simbolicamente l’andamento degli eventi. La cena e l’attesa nottata occupano non meno del novanta per cento del libro, eppure le pietanze sono sfilacciate, distanziate, come sincopate. (avviso il lettore che questo testo contiene spoiler, purtroppo necessari.)

La storia

Siamo nel luglio del 1962 e, tra cromatismi e sottile ironia… “Il pasto di gala iniziò, come accadeva quasi sempre al tempo, con una fetta di melone guarnita da un singolo esemplare di ciliegia candita. Fuori, nel corridoio, in vassoi d’argento intiepiditi da scaldavivande a candela, attendevano fette di un arrosto cotto da tempo adagiate in un sugo denso, verdure arcilesse e patate dal colorito bluastro. Il vino arrivava dalla Francia anche se l’etichetta, impreziosita dal volo di un’unica rondine, non specificava nessuna regione di origine in particolare. A Edward non sarebbe mai passato per la mente di ordinare un rosso”. Menu con evidente disagio, potremmo commentare.

Tre o quattro pagine più avanti, dopo che la classica ridda di pensieri e sensazioni ha fatto da latente colonna sonora a uno scambio di sguardi e piatti in teoria ideale… “In meno di due minuti finirono il melone mentre i ragazzi [i camerieri], anziché aspettare nel corridoio, se ne stavano ritirati accanto alla porta, tormentandosi cravattino, colletto stretto e polsini. La loro espressione vacua non cambiò quando videro Edward offrire a Florence, con un sussiego ironico, la sua ciliegia candita. Lei, con fare giocoso, gliela succhio dalle dita e sostenne il suo sguardo mentre masticava lentamente, permettendogli di intravederle di sfuggita la lingua, pur consapevole che flirtare in qual modo con lui avrebbe reso la sua situazione più rischiosa. Non avrebbe dovuto dare il via a un gioco che non era in grado di sostenere...” Insomma, un’autentica doccia fredda per il lettore degli anni 2000 (ricordo che il libro è del 2007), che già si immagina una situazione analoga a quella che si instaura fra Mickey Rourke e Kim Basinger in “9 settimane e ½”. Il cibo asseconda e nutre una tensione emotiva che si scioglierà solo nel finale.

Ian McEwan

Il cibo asseconda e nutre una tensione emotiva che si scioglierà solo nel finale.

Pochi secondi della serata che diventano cinque o sei pagine del libro e la cena prosegue: “I camerieri sopraggiungevano con i piatti dell’arrosto, quello di lui in porzione doppia rispetto alla sua. Portarono anche zuppa inglese, formaggio e cioccolatini alla menta, che appoggiarono su una mensola”.

La tensione sale ed è ancora il cibo a evidenziare la cosa: “Gli sposi imperterriti fingevano di mangiare, intrappolati nel tempo delle loro angosce personali. Florence si limitava a spostare il cibo nel piatto. Edward masticava simbolici bocconi di patata, incidendoli con la punta della forchetta”.

Cento pagine più avanti, il crepuscolo degli dei, il malinconico day after affidato al giovane e infelice sposo: “Poco prima dell’alba si alzò e raggiunse il soggiorno dove, restando in piedi dietro la sua sedia, raschiò il sugo rappreso [immagine violenta, che richiama, se non sono troppo ardito, l’esperienza del liquido seminale sulla pelle di lei occorsa durante la notte] dall’avanzo di carne e patate e mangiò tutto quanto. Finito il suo, passò al piatto di lei – senza badare [altra espressione cruda, a descrivere una squallida condivisione, ben diversa da quella sognata solo poche ore prima]. Poi fece fuori i cioccolatini alla menta, e infine il formaggio. Lasciò l’albergo alle prime luci del giorno…”. ‘La tristezza incredibile di un viaggio di ritorno’, si potrebbe commentare con un verso del grande Claudio Lolli.

Un tramonto sul mare in Patagonia

Ricordi…

Nel mezzo, incorniciati tra l’inizio e il finale, due ricordi. Uno è solo un accenno, quasi di colore: “I fumatori del piano di sotto, avvolti nei loro golf dai bottoni argentati, con in mano un doppio Caol Ila al malto, in mente i ricordi di campagne in Nordafrica e Normandia, e sulle labbra calcolati residui di gergo militare, non potevano avanzare diritti sul futuro”. Per la cronaca, il Caol Ila è un whisky scozzese prodotto nell’isola di Islay.

Il secondo ricordo è più lungo e sostanzioso, un flash su più pranzi estivi di Edward ospite a casa di Florence. E su questo brano, insieme spiritoso e illusorio, sospeso in una realtà che tutto sommato non esiste e che comunque l’epilogo cancellerà, ci salutiamo: “Quell’estate assaggiò per la prima volta l’insalata condita con olio e limone, lo yogurt (alimento fiabesco a lui noto soltanto dalla lettura di un romanzo di James Bond). La modesta cucina del padre e il regime a base di pasticcio di carne e patate dei suoi anni studenteschi non l’avevano certo preparato per le stravaganti verdure – melanzane, peperoni sia verdi sia rossi, zucchine e taccole – che gli venivano regolarmente proposte. Fu stupito, per non dire un tantino spiazzato, allorché alla sua prima visita Violet [la madre di Florence] servì come primo piatto una terrina di piselli appena scottati. Dovette superare la propria avversione nemmeno tanto per il sapore, quanto per l’esagerata reputazione dell’aglio. Ruth [la sorella di Florence] rise alle lacrime per minuti di seguito, fino a vedersi costretta a lasciare la stanza, sentendolo scambiare per croissant una baguette […]. Ebbe il suo battesimo in fatto di müsli, olive, pepe nero fresco, pane non imburrato, acciughe, agnello al sangue, un formaggio diverso dal cheddar, ratatouille, saucisson, bouillabaisse, un pranzo completo senza patate e, sfida tra le sfide, un composto dal sapore di pesce color rosa carico, chiamato taramosalata. Molti di quegli articoli avevano un sapore vagamente ripugnante, e risultavano simili tra loro in modo indefinibile, ma Edward era deciso a non apparire uno sprovveduto. Certe volte, mangiava talmente in fretta da rischiare di strozzarsi”.

“Chesil Beach”, di Ian McEwan. Il libro è servito: a cura di Enrico Zoi