Ci sono città e paesi di cui ti fai un’idea sbagliata. Forse per sentito dire, forse perché non conosci nessuno che ci abita, forse perché i tuoi percorsi ti portano a lambire una periferia moderna e un po’ anonima. Poi, capita, che un evento qualsiasi ti porti dentro la sua storia e allora scopri un mondo, che era a due passi da te ma che non conoscevi. Leggi l’articolo e guarda il video
A farmi conoscere Santa Croce sull’Arno è stato il suo amaretto. L’8 dicembre, infatti, la cittadina toscana festeggia questo dolcetto a forma di montagnola nato nel Monastero Agostiniano di Santa Cristiana alla fine dell’1800. Ogni anno, nella festa dell’Immacolata Concezione, Santa Croce propone la Sagra dell’amaretto santacrocese. Una data scelta non certo a caso: in quel giorno la Madonna apparve a Santa Cristiana, ben sette secoli prima di Luordes e Fatima.
L’amaretto galeotto mi ha portato a parlare con il direttore della proloco, Angelo Scaduto, che mi ha fatto scoprire che Santa Croce non è solo una città moderna fatta di conciatori ma è anche uno dei più antichi borghi fortificati del Valdarno inferiore. Nata intorno al 1000 con l’unione di quattro piccole comunità che si riunirono intorno ad un oratorio dove era conservato un antico crocifisso ligneo, di splendida fattura, che oggi possiamo ammirare nella Chiesa Collegiata che si apre sull’elegante piazza Garibaldi.
Nel 1286 Oringa Cristiana Menabuoi, Santa Cristiana, su un terreno allora paludoso, fondò una piccola casa religiosa, un monastero di clausura di regola agostiniana. Santa Croce in quel periodo fu coinvolta nelle sanguinose guerre che videro Firenze, Pisa e lucca contrapporsi ma nel 1330 giurò fedeltà alla Repubblica Fiorentina.
Una città laboriosa da sempre, legata a famiglie facoltose e che nel 1526 provvide alla costruzione della Collegiata di San Lorenzo e nel 1228 del Palagio.
Santa Croce vide le prime concerie, che ne hanno fatto la fortuna nel XVIII secolo, ma l’Arno era sempre stato un elemento importante per i suoi abitanti che in alcuni documenti venivano definiti “navicellai” cioè dediti al trasporto di merci sul fiume. Anche la produzione di bachi da seta era attiva in quegli anni tanto che ogni settimana si teneva un mercato in una piccola piazza del borgo.
Oggi Santa Croce è il un polo conciario italiano primario del settore, al centro di uno dei distretti industriali più importanti. Innovazione, sviluppo di attività inerenti la concia, impegno costante in difesa dell’ambiente (ospita uno dei più grandi depuratori d’Europa) con trasformazioni innovative dei materiali di scarto, la rendono una città vincente.Una città dove la cultura va di pari passo con l’innovazione, con i suoi eventi, le sue feste (come il Carnevale d’autore” dove non sfilano carri ma abiti che sono vere opere d’arte e appunto l’amaretto.
Le suore decisero di produrre l’amaretto in segno d’augurio e ringraziamento per i benefattori del monastero, pare utilizzando le mandorle inviate dai parenti delle novizie siciliane presenti ma con il tempo furono prodotti anche da forni esterni. Come regalo di Natale l’amaretto di Santa Croce veniva (e viene) inviato ad amici parenti e colleghi in tutta Italia che lo hanno così conosciuto e apprezzato per la sua semplicità: uova, mandorle e zucchero. Un prodotto modernissimo, quindi, indicato anche ai tanti intolleranti al glutine.
Non potevo quindi lasciare Santa Croce senza aver assaggiato l’amaretto di Vachetta, una pasticceria-enoteca in piazza Garibaldi che ha persino creato un kit per “l’amaretto fai da te” per averlo a disposizione tutto l’anno e quello di Loriana Betti, “la pasticceria” di Santa Croce in via di Pelle. Ma Loriana ci ha affascinato con la sua storia, con il suo amaretto e con il suo strepitoso “panmaretto” un dolce morbido e profumato lievitato come tutta la sua pasticceria con un lievito meraviglioso di oltre 100 anni. Ma questa è un’altra storia che merita lo spazio di un altro articolo. Intanto fate un nodo al fazzoletto e organizzatevi: l’8 di dicembre tutti a Santa Croce
[…] Amaretti di Santa Croce, a base di mandorle a forma si piccolo cono, che venivano fatti dalle monache di clausura per ringraziare i donatori di offerte. […]