Matelica è una città speciale. I suoi cittadini lo sono e di conseguenza i suoi amministratori. A Matelica tutto diventa particolare come il suo Verdicchio da non confondere, ci pregano,  con quello di Jesi. Stesso vitigno due vini diversi.

Matelica il palazzo del Municipio
Sullo sfondo il palazzo comunale apparentemente perfetto in realtà gravemente lesionato dal terremoto.

 La nostra visita a Matelica ci ha portato in un luogo tranquillo dove l’ultimo terremoto sembra non essere passato. In realtà la città ne ha sofferto. La scelta dell’amministrazione però è stata coraggiosa e ha puntato a non creare una zona rossa impenetrabile. Ha messo in sicurezza palazzi e case dall’interno. Il palazzo comunale, per esempio, è inagibile ma dall’esterno non si nota.

Matelica e la sua piccola “Scala”

Le Marche sono una regione con circa 70 teatri. Questa cosa mi ha sempre affascinato. Piccole “bomboniere” oggi tutte restaurate ed attive. E Matelica non fa eccezione. Il suo teatro però ha qualcosa in più.

Il teatro di Matelica. La volta del PIermarini crollò e nel 1873 il teatro fu restaurato ad opera di Vincenzo Ghinelli che sostituì il quarto ordine di palchi con un ampio loggione.

Fu costruito nel 1812  dall’architetto Giuseppe Piermarini realizzatore della Scala di Milano. E non è finita. Il teatro di Matelica è stato anche tra i primi ad avere l’illuminazione elettrica. Durante gli ultimi lavori di restauro, inoltre, nel sottopalco sono stati trovati ampi resti delle terme romane. Infatti, già nel 70 a.C. Matelica era Municipio romano. Poco più in là, vicino al fuyer, il tempo ci fa fare un salto ancora più indietro con una capanna picena.

terme romane sotto al palco del teatro.

Sotto questa città c’è una bellezza infinita, basta passeggiare per rendersi conto. Mosaici romani visibili grazie a coperture in vetro lungo la strada permettono di farsi un’idea di cosa  può esserci nelle cantine dei suoi palazzi.

matelica Mosaici romani
Mosaici romani visibili camminando nel centro di Matelica

Il rapporto di Matelica con il vino affonda le radici nei secoli. Il ritrovamento di un guerriero piceno con degli acini d’uva racconta di un terreno vocato.

Il verdicchio di Matelica

Il verdicchio di Matelica è un bianco da invecchiamento e lo era anche quando questa cosa nel resto d’Italia poteva sembrare una “eresia”. Una terra vocata all’agricoltura. Interessante il dato sulle imprese agricole che sono aumentate negli ultimi cinque anni del 107 percento. E il terremoto pare non aver fermato il trend. 
Con l’Università di Camerino, Matelica ha creato un Master in Wine Management e tutti i formati fino ad ora hanno trovato lavoro. Inoltre sono arrivate personalità del mondo del vino.

Vino azienda Gagliardi uno tra quelli assaggiati

Matelica e il suo Verdicchio sono sempre stati un po’ all’ombra del verdicchio di  Jesi. Qui il vino si fa da sempre. In ogni luogo, anche nei palazzi di città, c’era una cantina dove si faceva vino. Era buono ma non gli era stato dato un valore e si vendeva a damigiane.

Creazione di un brand

Matelica oggi sta cercando di dare un valore al suo vino. Creare un brand che lo renda riconoscibile e ne presenti le differenti caratteristiche. Da notare che il Trebbiano di Soave, che è il vitigno da cui nasce il Soave, è un clone di Verdicchio di Matelica preso dalla Massari azienda produttrice anche di innesti. Stessa cosa per il trebbiano di Lugana.  A Matelica si forniscono le barbatelle di questa uva robusta che regala bianchi meravigliosi adattandosi ai terreni.

“Le realtà  produttive qui sono piccole se si esclude la cantina sociale Belisario”-  racconta con passione Filippo Mosciatti consigliere di maggioranza in comune. Ama il vino e dalle sue parole traspare la nostalgia della vigna del nonno. La famiglia, alla sua morte, decise di venderla ma lui pare rimpiangerla ancora. Dalle sue parole traspare una terra laboriosa con tanta ha voglia di crescere ancora.
 “La superfice vitata da sfruttare può essere ampliata anche se il territorio collinare non permette molto di più. Rimpianti di vigneti e investimenti per 4 milioni di euro è ciò che è stato fatto fino ad ora.  Ed è nato anche un Consorzio di viticoltori.”  Questa è la Matelica che ci racconta.

Matelica: vocazione biologica

Le aziende nate  o in conversione biologica sono più del 50% con  microaree completamente biologiche, aree con sperimentazioni più avanzate. In pratica si cerca di rendere la pianta naturalmente resistente agli agenti patogeni, come lo sarebbe stata senza l’intervento dell’uomo per aumentarne la produzione.

Da anni il verdicchio di Matelica è risultato uno dei vini bianchi  più buoni d’Italia, c’è la storica cantina La Monacesca che dal 1998 prende i tre bicchieri del Gambero Rosso.  La Doc del Verdicchio è del 1967. Nel  1973,  in una zona dove c’era un monastero dove da sempre si coltivava la vite, nacque questa cantina.

matelica Chiesa di Sant’Agostino e i danni del terremoto.

Una valle quasi unica

Intanto i bicchieri tintinnano in un brindisi di assaggio nell’ Enoteca Comunale adiacente al teatro.  Verdicchio di Matelica  dell’Azienda Gagliardi Verdicchio di Matelica 2018 lavorato in acciaio, al naso  sentori erbacei, di fiori di montagna profumo tenue ma grande mineralità in bocca.  Siamo su un massiccio calcareo formato nel pleistocene quando questa zona aveva un clima maldiviano e il Verdicchio di Matelica ce lo racconta.  Un altro aspetto di questo territorio sono le escursioni termiche. Un clima continentale particolare.  Gli sbalzi termici tipici di questo clima qui sono accentuati perché la vallata è stretta e lunga e stranamente orientata nord-sud.

Attraverso due piccole gole, la gola di Pioraco e quella di Frasassi che immettono aria fredda,  durante il giorno è caldo ma nella notte l’aria fredda entra velocemente.  La bassa temperatura notturna crea condizioni ottimali per un vino che diventa molto interessante all’invecchiamento.  Nel 1997 quando fu fatta la proposta per la DOCG  sembrava a tutti strano fare una Riserva di bianco!

Le Marche ci sorprendono sempre. E torneremo presto perché di verdicchio di Matelica vogliamo parlare ancora.

Roberta Capanni