(NOTIZIA) –
Come si fa a “cambiare i connotati” di un territorio? Si guarda al solo profitto e a niente altro. Tutti ornai sappiamo quanto sia importante mantenere la biodiversità e come questa possa diventare un volano, forse più lento ma sicuramente soddisfacente, per lo sviluppo di un’area.
Chi intorno al 1950 fosse passato dalle campagne tra San Miniato e Pisa, giusto per fare un esempio, avrebbe visto distese e distese di tabacco e tanti grossi edifici adibiti a “seccatoi” di cui oggi restano o ruderi o singolari abitazioni. Fino a qualche tempo fa c’erano distese di girasoli sempre perché la richiesta di mercato lo richiedeva e gli incentivi governativi invitavano a piantare queste coltivazioni.
Ma quando si parla si alberi la cosa cambia. Ci vogliono anni perché entrino in produzione e possono cambiare totalmente un panorama.
Il “progetto nocciola”
In Toscana in questi giorni si parla di “Progetto nocciola” cioè monocolture intensive in un’area non vocata per tradizione. Una coltura intensiva in un territorio non vocato non solo cambia il paesaggio ma obbliga a delle scelte non salutari per far crescere e sviluppate piante non tipiche della zona. Inoltre la Toscana in ogni sua area non si presta a colture intensive e vive di “paesaggio”.
Alle proteste degli agricoltori della Valdichiana e di tutte le altre aree in cui pende questa spada di Damocle si è schierata Slow Food che agisce in sostegno e difesa della salvaguardia della biodiversità, delle economie locali del cibo buono, pulito e giusto per tutti.
Slow Food ha contribuito alla nascita del Distretto Rurale del Valdarno, per una progettualità e una visione di una produzione locale “buona, pulita e giusta”. L’adozione in questa area di pratiche mono-colturali di varietà non locali di un prodotto che ha solo un piccolo e occasionale spazio nella piramide alimentare (non la frutta secca, ma il prodotto cui è destinato) vanificherebbe il lavoro svolto in tanti anni. Un lavoro fatto dai cittadini, dai volontari, dai produttori e le amministrazioni locali e regionali che hanno fino a oggi condiviso una visione comune impiegando cospicue risorse umane ed economiche per il raggiungimento di ben altri obiettivi.
No alle colture superintensive
“Le coltivazioni “superintensive” non fanno bene alla terra né agli umani” afferma Agenzia Europea per l’Ambiente. Questo nel suo recente rapporto “Stato per l’ambiente 2020” per quello che necessariamente comportano in termini di contaminazione da pesticidi, di emissioni di gas serra, di erosione e impermeabilizzazione del suolo, di inquinamento delle falde”.
Non fanno bene ai paesaggi naturali e alle persone.
Quanto già accaduto in altri paesi, in Cile e Turchia ma anche nel vicino Lazio, già coinvolti in questo progetto, deve sollecitare la nostra attenzione e concentrarla sugli effetti che avrà sulla salute e sull’ambiente
Una battaglia per salvare il territorio
A livello regionale e nazionale Slow Food sta lavorando per la sostenibilità alimentare. Una battaglia affinché la filiera del cibo si compia per lo più a scala locale. Un lavoro fatto da una la rete delle piccole imprese agricole, da sostenere con la distribuzione locale nei mercati contadini, partecipando ai tavoli dove si progettano le politiche alimentari locali tra cui convenzioni con le mense che prevedano l’impiego di prodotti locali. Prodotti fondamentali per la sostenibilità e sicurezza alimentare locale oltre che per la salute di uomini e ambiente, non destinati al mercato internazionale. Cibo per la comunità, non merce per il mercato.
“Il nostro appoggio ai produttori del Valdarno – dicono da Slow Food – in questo contesto, è necessario. Ribadiamo, in questa occasione come sempre, la nostra avversione all’agricoltura industriale che sta dimostrando, in tutto il pianeta di essere causa e non effetto della crisi climatica e sociale, il nostro no alle monocolture, siano di noccioli o di altre varietà alimentari, all’utilizzo di pesticidi di comprovata nocività che si portano dietro, e il nostro sostegno alle economie locali in particolar modo alle filiere alimentari, mai come oggi importanti per le comunità locali e per il pianeta.
Oggi ci uniamo alla condotta del Valdarno e ai produttori nel chiedere di spiegazioni alle amministrazioni locali che hanno supportato questa iniziativa, ricordando che i Comuni dell’area che aderiscono al distretto rurale del Valdarno hanno scelto un modello di governo del territorio ben lontana da quanto proposto e chiediamo in quale modo l’introduzione di colture intensive di cultivar non locali e interamente destinate all’industria e al consumo esterno, può contribuire a “favorire i processi di organizzazione di relazioni di mercato più equilibrate, potenziare la filiera e, quali effetti conseguenti, consolidare la stabilità economica e occupazionale del distretto, apportando vantaggi anzitutto di carattere ambientale al territorio” (legge regionale 17/2017- nuova disciplina dei distretti rurali).