L’Aquila dieci anni dopo il 2009 , alla scoperta dell’Abruzzo che resiste ed esiste fra sapori autentici e tradizioni rupestri.

Era Pasqua. Era il 2009 quando per la prima volta entrai a l’Aquila. Era freddo. Un freddo intenso per essere a metà aprile. Un freddo che avevo nel cuore davanti alle ferite di quel terremoto, a quei quasi 300 morti appena pianti.
Tanta desolazione fra palazzi distrutti e acre odore di polvere. Un’atmosfera di volti stravolti, sirene blu dei lampeggianti e anime perse.

Impossibile dimenticare quella branda nella tendopoli allestita in faccia alla basilica di Collemaggio. Impossibile dimenticare quella cena frugale nella tenda-mensa tirata su in fretta fra scatolame generosamente arrivato a L’Aquila. Impossibile dimenticare le chiacchiere fintamente normali fatte con chi in trenta secondi aveva visto sconvolta la sua vita.

Tornare a L’Aquila dieci anni dopo è stata un’emozione difficile da descrivere, ma anche l’occasione per scoprire cosa in questa terra generosa e tosta si produce e si degusta. Nonostante tutto.

L’Aquila e la sua terra difficile

Lasciati da parte gli arrosticini – tipici spiedini di carne di pecora – sono andata alla scoperta di ciò che l’uomo riesce, quasi miracolosamente, a spuntare da una terra affascinante, ma difficile. Lontana dalla costa più o meno famosa (LEGGI) ma vicina al cuore degli abruzzesi
Coltivare in altitudine è sacrificio. Il clima è ostico e i terreni coltivabili sono solo piccolissimi e marginali.

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Il massiccio del Gran Sasso

Mi sono inerpicata sull’altopiano sfiorando località che mi evocavano memorie. Basciano e Paganica e poi su per salire verso il lago di Campotosto, fronte Gran Sasso, 1400 metri d’altitudine.
Qui, in una fattoria locale ben frequentata, si producono grandi formaggi e carne d’allevamento in pascolo.
Gli animali brucano essenze vegetali tipiche e ruminando arricchiscono il proprio latte di acidi grassi polinsaturi e omega 3.
A invecchiare, allineata nell’apposita stanza adibita, è la mitica mortadella di Campotosto. Un piccolo salame di colore intenso e gusto morbido nonostante che la lardatura centrale gli conferisca persistenza e dolcezza del gusto.

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lenticchie abruzzesi

Latte d’Abruzzo

Dall’ottimo latte delle mucche che si vedono pascolare libere sui crinali verdissimi in primavera si produce il caciofiore. Presidio slow food il caciofiore dell’Aquila ha ripreso la produzione , nonostante il terremoto, dopo quasi sessanta anni di oblio.
Il Caciofiore è un formaggio particolare fortemente legato al pascolo d’altura appenninico. Si ottiene con caglio vegetale di carciofo selvatico e che si consuma fresco o semi fresco.

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Tendopoli della Protezione Civile a Collemaggio, l’Aquila 2009

Fra le curve, i paesaggi e i verdi pascoli che si inerpicano verso il Gran Sasso tanti sono i gioielli della natura da scoprire. Fra tutti il Solina, varietà di grano antico che in tempi antichi veniva addirittura utilizzato come moneta di scambio. La lenticchia di Santo Stefano di Sessanio che cresce oltre i mille metri di altezza con i suoi pochi millimetri di diametro, la forma globosa e rugosa e la buccia sottile e di colore marrone. Il fagiolo di Paganica coltivato in valle a Paganica, Tempera, Onna, Bazzano e San Gregorio  e il particolarissimo aglio rosso di Sulmona.

Non ditelo ai burocrati…

Per finire – ma non lo dite ai burocrati della Comunità Europea – quando andate in fattoria chiedete di provare la mitica giuncata vaccina abruzzese. Viene preparata al momento davanti a voi e ottenuta dal latte crudo portato a temperatura di coagulazione, aggiungendovi fermenti lattici e caglio. A coagulazione avvenuta il mastro casario fa sgrondare la massa in cestelli di giunco, la sala e poi la fa consumare fresca, meglio se al momento.

Varietà locale di aglio

Andate in Abruzzo. Visitate l’Aquila e le sue ferite e aiutate, mangiando e comprando i prodotti locali, il ritorno alla normalità di una popolazione splendida.