Parliamo di cucina italiana? Più studio la storia, più rimango sbalordita della modernità della storia stessa. Un ginepraio di parole? No, semplicemente ciò che spesso non conosciamo pensiamo erroneamente che non sia mai esistito, attribuendo la “modernità” a quello che abbiamo sotto i nostri occhi. La cucina e l’arte culinaria fanno parte integrante dell’uomo, l’evoluzione ha subito alti e bassi, se dall’impero romano Plinio il Vecchio ci tramanda delle ricette, non da meno l’importanza agli usi e costumi della convivialità. Ma la vera apoteosi della cucina la possiamo leggere nei libri Rinascimentali, che comprendevano una vasta “letteratura di cucina” per le classi nobili, e dagli Statuti delle città l’estrapolazione per la borghesia e i contadini.
L’arte del cucinare toccò in Italia vette senza pari in Europa, nuove spezie e nuove sperimentazioni stavano nascendo, gusto dolce e salato mescolati insieme, e presentati teatralmente.
Gli addetti al servizio della tavola erano dei professionisti, e nella gerarchia il cuoco (spesso di umili origini), veniva dopo il trinciante, il bottigliere, lo scalco, cariche rivestite di solito da persone di estrazione sociale elevata. Il cuoco doveva realizzare al meglio le ricette che gli venivano ordinate, conformandosi ai gusti del padrone o dei suoi ospiti illustri, ed alla regola che privilegiava tutto ciò che era raro e costoso, in nome del fasto e del lusso che contraddistinguevano la tavola di un uomo superiore. Per gli allestimenti dei banchetti ci si avvaleva della collaborazione di artisti e artigiani tra i più noti dell’epoca, che trasformavano il pasto in una vera e propria messinscena teatrale, le sculture e i trionfi di cibo elaborati dal Buontalenti sono ricordate in molti libri di storia. La gastronomia doveva anche adattarsi al credo religioso medioevale che prevedeva una alternanza molto rigida dei giorni di “ magro”, lo sviluppo di una cucina “leggera senza carne”, ricca ed elaborata al tempo stesso, divenne una parte importantissima dell’arte culinaria del cinquecento.
Cucina italiana. Nel Rinascimento c’erano tanti piccoli stati, politicamente alleati e avversari, ma molto ricchi grazie ai commerci che portavano culture diverse a confrontarsi in tutte le scienze, non di meno quella culinaria. Gli Influssi arabi, orientali in generale, veneziani, l’uso sapiente delle spezie e dei prodotti del Nuovo Mondo scoperto, l’America, arricchirono la tavola del signore, resa ancor più preziosa dalla cura per la forma. Vasellame prezioso, fiandra e lino a profusione per il tovagliato, essenze odorose per detergersi le mani, calici di vetro affusolati, ciotoline, saliere, composizioni di fiori, accompagnavano le vivande accom e i vini ricercati. E se oggi abbiamo gli chef stellati, non di meno anche il Rinascimento aveva i suoi, Giovan Battista Rossetti, era uno scalco alla corte di Lucrezia d’Este duchessa d’Urbino, con il suo trattato “Dello scalco” edito a Ferrara nel 1584, diede quasi un compendio di tutta la letteratura culinaria apparsa durante il Cinquecento. In questo libro lo scalco Rossetti, loda l’abilità dei cuochi francesi e tedeschi in materia di vivande, condimenti e salse, precisando però che molto di tutto ciò lo hanno “imparato da nostri cuochi d’Italia”, riducendolo “a ottima perfezione” con l’aggiungervi “una nuova politezza”.
Bartolomeo Scappi fu cuoco di intensa capacità ma soprattutto lungimirante antesignano della tecnica di cucina. È curioso come alcuni particolari della sua vita risultano ancora misteriosi e le poche cose che si conoscono sul suo conto sono state ricavate dal suo trattato l’Opera, uno dei più completi libri di Gastronomia del XVI secolo e non solo. Scappi, sotto questo aspetto, resta un vero e proprio precursore, intuì, infatti, già allora, che da un buon tenore di vita e una adeguata dieta di cibo sano, aumenta il benessere e la conseguente qualità dell’esistenza umana e che l’ambiente dove è manipolato e cucinato il cibo deve essere, nei limiti del possibile, pulito e in ordine. Questa idea fu a sua volta portata avanti da Leonardo da Vinci che insieme a Sandro Botticelli aveva fatto da “uomo tutto fare” nelle cucine di una locanda fiorentina, elaborando la presentazione delle pietanze e successivamente progettando gli utensili che ancora oggi fanno parte delle nostre cucine. Molte sono state le trasformazioni dell’arte del cucinare e saper mangiare bene, e come scriveva nel 1891 Pellegrino Artusi, nel suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene”: “La convivialità di chi può permettersi di spendere ingenti patrimoni in quella forma di lusso e ostentazione che è la cura della tavola forma un contrasto stridente con la grande desolazione della vita “del popolo e del comune”
Elena Tempestini