È il 20 giugno. La vigna dove stamani lavorano Paolo Cerrini e Manuela Villimburgo si trova a Le Panche, presso Pilarciano, alle porte di Vicchio. La vendemmia è lontana, ma Paolo e Manuela, con l’aiuto di sette ragazzi, molto bravi, sono al lavoro e stanno svolgendo per giunta una mansione da certosini.

Con un sistema complesso di fili di ferro e un lavoro di forbici, si tratta di eliminare o sistemare le foglie della vite da un lato, in modo che i grappoli, ancora piccoli, non restino come soffocati e possano asciugarsi rapidamente dalla guazza notturna ma anche  che non restino esposti eccessivamente al sole.

Troppo sole, mi spiega Paolo, porterebbe a un vino con un sentore di prugna cotta. Una quantità giusta conduce a un vino con idea di frutta rossa. Apparenti minuzie, piccoli stratagemmi, lavoro lungo, meticoloso e noioso, ma che, unito a un legame profondo con la terra che lavorano, ha portato il vino di Paolo e Manuela a livelli straordinari.

Iniziarono nel 1992. Marco De Grazia, che adesso gestisce il podere Terre Nere in Sicilia, aveva suggerito a Paolo un’idea che all’epoca chiunque avrebbe considerato quanto meno folle: coltivare Pinot nero. In Toscana. Sull’Appennino. Paolo non si tirò indietro, fu il primo nella zona. Ma De Grazia aveva visto giusto. Il clima, il terreno, le prerogative insomma, nonostante le apparenze, si rivelarono ideali. Successivamente altri coltivatori, non di rado quasi in segreto per paura di essere presi per pazzi, avrebbero intrapreso la stessa iniziativa, dalla Garfagnana al Casentino. Oggi il Pinot nero dell’Appennino è una realtà e una eccellenza toscana. I viticoltori si sono costituiti in rete anziché farsi una inutile e dannosa concorrenza.

Paolo era partito con un impianto di 1.500 mq. Oggi coltiva complessivamente 2 ettari, per due terzi a Pinot nero, il resto a Chardonnay e Sauvignon. Dall’ultima vendemmia sono state prodotte un totale di circa 8.000 bottiglie. Giampaolo Gravina, enologo, riferendosi al suo Ventisei 2011 (sì: gli hanno dato questo nome) presentato all’ Eccopinò 2013, ha scritto: “Sarò diretto: per quel poco che ne capisco io, quello di Paolo Cerrini non è soltanto il miglior Pinot nero dell’Appennino toscano, ma è un rosso di rara finezza, che ogni appassionato dovrebbe conoscere”.

L’enoteca Marcucci di Pietrasanta aveva acquistato un notevole quantitativo di Ventisei 2010, aggiungendo tra il serio e il faceto che un Pinot nero così buono Paolo non sarebbe più riuscito a ottenerlo di nuovo. E invece, l’ordine si ripeterà anche per quest’anno, mentre un altro quantitativo di bordolesi è in partenza per il Giappone.

Ma Paolo non è solo soddisfatto dei successi raggiunti. Lui e Manuela sono felici perché nelle vigne sono ricomparsi i grilli e le coccinelle. E lucciole. Un mare di lucciole. “Sono indicatori ecologici”, dice Paolo. “La loro presenza testimonia che l’aria è buona e che non abbiamo violentato la natura. In un grammo di terra ci sono dodici milioni di esseri viventi. Impiantare una vigna vuol dire sempre compiere un’azione coercitiva sull’ambiente. Il nostro intento è di procurare un impatto meno invasivo possibile, ed evidentemente ci stiamo riuscendo.”

Paolo Marini