Ci sono cene che non si scordano. Come quella apparecchiata per Indiana Jones (Harrison Ford), Willie Scott (Kate Capshaw) e Short Round (Jonathan Ke Quan), i protagonisti del film di Steven Spielberg Indiana Jones e il tempio maledetto.
Lo strano banchetto si tiene a Pankot, in India, dove i tre sono accolti da un giovane maharajah, un’ospitalità che, come sanno gli amanti delle storie dell’archeologo più spericolato del cinema, si rivelerà una trappola.
Serpenti e brodini per Indiana Jones
Il secondo capitolo della trilogia di Indiana Jones arriva in Italia il 27 settembre 1984, 35 anni fa esatti. Ma non invecchia mai e l’effetto trash di quella scena, impostata su un grossolano goofy humour, è vivo ed efficace anche dopo anni.

Come non inorridire infatti davanti a una cena policroma e splendida, a base però di serpenti e brodini con occhi e cervello di scimmia semifreddo? A poco serve sapere che in realtà si tratta di crema pasticciera e salsa di lamponi. Lo schifo è autentico!
Un’espressione giustificata dalla storia della scena, ideata per accompagnare la spiegazione del culto Thug. Steven Spielberg e George Lucas, per la sceneggiatura, vollero due professionisti come Willard Huyck e Gloria Katz, esperti di cose indiane. La loro prima proposta fu una caccia alla tigre. L’idea non piacque al regista: ci voleva troppo tempo. La Katz allora pensò a una cena “la più schifosa possibile” (testuali parole, pare). E così fu.
La rabbia degli indiani
La scena, se non passò inosservata agli occhi degli spettatori, fece proprio arrabbiare l’India. Qui il film fu addirittura temporaneamente bandito per il modo, ritenuto offensivo e da luogo comune, in cui dipingeva la cucina locale: i raffinati Indiani non mangiavano così!

Giustissime quindi le loro proteste, tuttavia la cena di Indiana Jones dal maharajah dimostra quanto bellezza ed efficacia del grande cinema distraggano anche i più politically correct (autori e spettatori) dal rispetto di usanze e costumi dei popoli.
Tutti noi, vedendo il film, non pensammo alle tradizioni indiane, per lo meno non subito, ma, come in un romanzo di Emilio Salgari, ci lasciammo trasportare da sensazioni, emozioni e impressioni di gusto: Spielberg era riuscito a farci assaggiare quelle pietanze. That’s all, folks!