Una pietra preziosa più dell’oro: il lapislazzuli. Quel colore intenso che arriva da lontano, che scandisce la vita della vallata di Sar-e-Sang, nel nordest dell’Afghanistan. Nella profondità delle montagne, nascosta tra le venature del marmo.
Oggi, come 6500 anni fa, questa pietra semi preziosa si cerca con sudore e fatica. L’uomo entra nella montagna e rischia la sua vita perché qualcuno si adorni di quel blu intenso o gioisca alla sua vista. Ho capito la bellezza e la preziosità dei lapislazzuli quando il Museo degli Argenti di Palazzo Pitti a Firenze ha dato vita ad una mostra.
Era il 2015 e la Direttrice Maria Sframeli aveva elaborato con Valentina Conticelli e Riccardo Gennaioli la mostra “Lapislazzuli. La magia del blu” che il Museo degli Argenti.
L’esposizione aveva il merito di raccogliere in quattro sale alcuni dei pezzi più belli presenti nel museo. La composizione di un percorso tematico che induceva il visitatore non solo all’osservazione ma anche alla riflessione, al successivo studio.
I lapislazzuli anti inquinanti
Sì, perché il lapislazzuli, oggi prodotto anche artificialmente, ha una struttura aperta a “gabbia” che permette di intrappolare gli atomi, diventando un filtro minerale. Per questo oggi viene usato anche per intrappolare scorie inquinanti e anche nucleari. Del resto la lazurite, il principale minerale presente, consente di “lavare più bianco” la possiamo vedere in molti detersivi. I lapislazzuli quindi non sono solo la magia del blu ma hanno anche una loro funzione.
Gli oggetti in lapislazzuli (dal latino Lapis, pietra, e dall’arabo Lazuli, blu) in esposizione erano un crescendo di colori e forme. Dai piccoli monili dell’Antico Egitto ai grandi prodotti delle manifatture fiorentine, per finire con pezzi moderni.
Nella pittura il blu oltremare era usato per i mantelli dei santi e i cieli. Era ricavato attraverso un procedimento particolare dalla pietra polverizzata, e conosciuto fin dall’antichità (anche in occidente la tecnica si presentò tardi). La lavorazione di manufatti si sviluppò e crebbe nella seconda metà del 1500. La magia creata dal blu dei lapislazzuli è unica.
Le collezioni medicee
Nella nostra visita alla mostra fiorentina avevamo avuto la fortuna di essere accompagnati dalla Direttrice del Museo che ci aveva guidato attraverso le maestose sale di Palazzo Pitti. Ci aveva spiegato come nelle collezioni Medicee si inizino a trovare oggetti in lapislazzuli solo dopo il 1534, soprattutto coppe e vasi. Era Milano, in quel momento, uno dei centri più importanti per l’intaglio in pietra dura. Proveniva dalle montagne del Badakshan e , a dorso di cammello, arrivava in Persia e in India e quindi a Costantinopoli e a Venezia.
Nel 1572 Francesco I, infatti, fece venire da Milano i fratelli Gian Ambrogio e Gian Stefano Caroni nei laboratori granducali, nucleo delle botteghe di corte, ubicate nel Casino di Piazza San Marco.
Gli imponenti vasi con decorazioni in oro, coppe, tazze e altri raffinatissimi oggetti f hanno un disegno sempre più raffinato e di un profondo blu con venature oro. Coppe a conchiglia, tazze dalle doppie prese, grandi coppe e fiasche come quella su disegno di Bernardo Buontalenti.
Brocche dalla manifattura granducale, una splendida scacchiera di manifattura veneziana nella prima sala, dischi e ovati preziosissimi nella seconda e un affascinante tavolo con veduta di Livorno, e a seguire pittura su pietra, codici miniati nelle sale successive fino agli oggetti lineari ed evocativi dei maggiori maestri gioiellieri odierni.