I libri sono il cibo della cultura e uno scrittore è lo chef che cucina e abbina i sapori per regare un piatto unico! Così la pensiamo noi di GustarViaggiando!

 

L’8 gennaio del 1921, a Racalmuto, in provincia di Agrigento, nasce Leonardo Sciascia, scrittore e giornalista. Uno di quei personaggi per il quale sostenere che abbia attraversato il secolo scorso da protagonista è quasi scontato, tanto vasta, eterogenea e – diciamo – vivace è la sua attività intellettuale e creativa.

Un uomo che, per cominciare, ha ben saldo il senso delle proprie radici, al punto da dedicare il primo libro, il saggio ‘Le parrocchie di Regalpetra’, del 1956, alla sua città natale, benché mascherata con un ‘nome d’arte’, e da ambientare in Sicilia la maggioranza dei suoi lavori. Un affetto per la terra natìa che, come vedremo, non smarrirà mai.

Da quel suo inizio editoriale è un susseguirsi di libri e scritti entrati di diritto nella storia della letteratura, da ‘Il giorno della civetta’ (1961) a ‘Porte aperte’ (1987), da ‘A ciascuno il suo’ (1966) a ‘Todo modo’ (1974), e poi le poesie, i saggi, i testi teatrali, i racconti. Una vastissima produzione. Insomma, per quanto a volte controverso, Sciascia è un grande del ‘900, che Sciascia lascia un segno importante anche nel cinema: superano infatti la ventina le sue partecipazioni a film, cortometraggi, film per la tv. E non tutte sono semplici trasposizioni dei suoi scritti.

Sciascia: le immagini  dalla carta alla visione.

A partire proprio dalla prima: ne ‘La smania addosso’ (Marcello Andrei, 1963), Sciascia cura i dialoghi, in collaborazione, tra gli altri, con Alberto Bevilacqua, Giuseppe Berto e Dante Troisi. Un film dal grande cast: Gérard Blain, Nino Castelnuovo, Annette Stroyberg, Vittorio Gassman, Gino Cervi, Leopoldo Trieste, Ernesto Calindri.

Il primo film tratto da una sua opera è del 1967: ‘A ciascuno il suo’, di Elio Petri, dal romanzo omonimo, con Gian Maria Volonté, Irene Papas, Gabriele Ferzetti, Mario Scaccia, Salvo Randone, Leopoldo Trieste, Luigi Pistilli. Ed è subito una grande pellicola, che conquista il premio per la migliore sceneggiatura, curata dallo stesso regista insieme a Ugo Pirro e proprio a Sciascia, al Festival di Cannes, e ben quattro Nastri d’argento: a Elio Petri come  regista del miglior film, ancora migliore sceneggiatura, miglior attore protagonista (Gian Maria Volonté) e miglior attore non protagonista (Gabriele Ferzetti). Petri non è un ortodosso della regia, ma ha personalità, intuizioni e idee da vendere: la critica si divide, ma prevale il pollice all’insù.

A seguire, ‘Il giorno della civetta’, 1968, di Damiano Damiani, dal romanzo omonimo: cast internazionale (Franco Nero, Claudia Cardinale, Lee J. Cobb, Serge Reggiani, Nehemiah Persoff) e tre David di Donatello (attore e attrice protagonista, produzione) con il valore aggiunto della Targa d’oro al regista. Girato a Partinico e a Palermo, ha anche una distribuzione statunitense.

Da ricordare, inoltre, ‘Cadaveri eccellenti’ (1976, di Francesco Rosi), dal romanzo ‘Il contesto‘ (1971), con Lino Ventura, Fernando Rey, Max Von Sydow, Charles Vanel, Tino Carraro, Corrado Gaipa, Florestano Vancini, Paolo Bonacelli, Tina Aumont, Alain Cuny, Maria Carta, Luigi Pistilli, Renato Salvatori, Alfonso Gatto, Anna Proclemer, Paolo Graziosi. Il film, si ricorda nel ‘Dizionario Universale del Cinema’ di Fernaldo Di Giammatteo, “scatena, al suo apparire, innumerevoli polemiche soprattutto per la […] celebre affermazione di un dirigente comunista: ‘La verità non è sempre rivoluzionaria’ […]: non un’inchiesta nella tradizione del giornalismo di denuncia, bensì una metafora – talvolta ingarbugliata – sull’essenza metafisica del potere”.

Soggetti scomodi e cruda verità

In quello stesso 1976, Elio Petri torna sulle pagine dei libri di Sciascia e realizza ‘Todo modo’, dal romanzo omonimo del 1974, un crudo e grottesco ritratto dei potentati democristiani, allora imperanti, interpretato, fra gli altri, da Marcello Mastroianni, Gian Maria Volonté (all’ultima sua collaborazione con il regista romano), Mariangela Melato, Ciccio Ingrassia, Franco Citti, Tino Scotti, Renato Salvatori e Michel Piccoli. Il soggetto è ovviamente assai scomodo (all’epoca i giornali parlano di vilipendio ad Aldo Moro e addirittura di anticipazione del suo assassinio!) e i riconoscimenti, forse non a caso, si concentrano sulle prove degli attori più che sui contenuti e sulla regia: Nastro d’argento come miglior attore non protagonista a Ingrassia, Globo d’oro e Grolla d’Oro come miglior attrice alla Melato e come miglior attore al Marcello nazionale, questi ultimi, peraltro, assegnati in condivisione con altri film interpretati dai due.

Impossibile, poi, non citare, in una filmografia – mettiamo le mani avanti – naturalmente incompleta, nella quale abbiamo evidenziato alcune perle, onde evitare di trasformarla in una minienciclopedia, impossibile non citare, dicevamo, ‘Porte aperte’ (1990, Gianni Amelio), dal libro omonimo del 1987, ancora con Gian Maria Volonté, e poi Ennio Fantastichini, Renzo Giovampietro, Renato Carpentieri, Lidia Alfonsi e tanti altri interpreti. È una storia accorata e drammatica contro la pena di morte che rammento di aver visto a suo tempo all’anteprima fiorentina, se non vado errato, al cinema Flora di Piazza Dalmazia. ‘Porte aperte’, ambientato a Palermo, vince molti premi italiani, praticamente quasi tutti, e ottiene anche una nomination all’Oscar come miglior film straniero.

Chiude al momento la filmografia di Sciascia, a conferma dell’attualità dello scrittore siciliano, il tv movie di Felice Cappa del 2014 ‘Il giorno della civetta’. Fra gli interpreti, Sebastiano Somma, Gaetano Aronica, Morgana Forcella e Orso Maria Guerrini.

Un profondo amore per il cibo della sua terra

E poi ricordiamoci che stiamo scrivendo da una testata dedicata alla cultura enogastronomica e scopriamo, su Leonardo Sciascia, alcuni lati molto interessanti da questo punto di vista, legati a quell’amore per la sua Sicilia che abbiamo imparato a conoscere fin dal suo esordio letterario.

 

Per esempio, quanti sanno che il suo amore per il cibo era tanto profondo e radicato da generare un bel saggio dell’accademica piacentina (altra zona dove si mangia e si beve bene il Piacentino!) Ricciarda Ricorda, intitolato ‘Pane e coltello. Leonardo Sciascia e il cibo’ e pubblicato dalle Edizioni Ca’ Foscari nel libro ‘A tavola con le Muse. Immagini del cibo nella letteratura italiana della modernità’, a cura di Ilaria Crotti e Beniamino Mirisola?

Questa l’interessante chiave di lettura proposta: “I riferimenti al cibo sono frequenti nelle opere di Leonardo Sciascia, nei romanzi come nei saggi, a diversi livelli: un campo sociologico e antropologico, dove il cibo spesso implica un senso di assenza, che indica uno stato sociale svantaggiato; un secondo campo, che evoca una dimensione memoriale; e un terzo che implica una connotazione emotiva”.

Andando sul concreto, ecco qualche ‘ricetta’!

Partirei però da una ‘non ricetta’, ma è giusto così, perché, grazie ad essa, si torna ancora a sottolineare l’attaccamento ‘patriottico’ dello scrittore alla Sicilia. Il titolo del saggio, ‘Pane e coltello‘, arriva, infatti, proprio da ‘Le Parrocchie di Regalpetra’, “dove a mangiare ‘pane e coltello’, sono gli zolfatari; ‘mangiamo pane e coltello’, dicevano, come dire che mangiavano solo pane, al massimo l’accompagnavano con l’acciuga salata o con un pomodoro”.

Bella, poi, la lettera che Sciascia scrive al poeta bolognese Roberto Roversi (un autentico epistolario con un destinatario – pure lui – dai natali enogastronomicamente assai validi!), una corrispondenza che “dall’ottobre 1953 al dicembre 1965 registra con puntualissima regolarità annuale l’invio di un pacchetto della celebre frutta martorana:Leggendo le tue poesie […], ho pensato al tuo bambino. Questo è un tempo, in Sicilia, in cui più si pensa ai bambini; e con una gentilezza venata di pena, indicibilmente malinconica. Qui non si conosce la Befana. I bambini hanno i loro doni il giorno dei morti. Le vetrine dei pasticcieri son piene di ‘frutta martorana’, che son dolci di pasta di mandorle, chiamati così per il famoso convento della Martorana di Palermo, dove le monache usavano fare di questi dolci: e imitano in bei colori tutti i frutti. Il giorno dei morti, i bambini si svegliano presto; e si mettono alla ricerca delle ‘cose dei morti’, delle cose che i morti della famiglia han portato loro nella notte: e trovano i bei canestri di frutta martorana’”.

Chiudo ora davvero con ricette autentiche, ma non con quelle riportate nei suoi libri (quelle andiamole a cercare leggendoli o rileggendoli), bensì con i piatti che lo stesso Sciascia sa ben cucinare. Scrittore, sì, ma anche cuoco, dunque: “raffinato conoscitore in campo gastronomico, vero e proprio grand gourmet, come lo definisce Salvatore Vullo: numerose in merito le testimonianze degli amici, che lo ricordano ottimo cuoco in proprio, come nel caso di Giannola Nonino che, parlando dei soggiorni della famiglia Sciascia a Percoto, lo rammenta magistrale artefice di paste alle sarde o agli sgombri, di caponate che non esita a definire mitiche”.

Tutti sapori e profumi della sua Sicilia… buon compleanno, Sciascia!