Sei giornalisti “ingannati” da una collega. Un invito a cena e la scoperta di sapori unici.

Cena al buio e magia delle essenze con Kitchen Whishes al Podere Castellare in compagnia del Gin Peter in Florenze

 

Cosa fate quando assaporate qualcosa di buono? Chiudete gli occhi, in automatico. Per assaporare meglio, per avere un contatto interiore con ciò che in quel momento vi regala sensazioni e, forse, ricordi. Ma stiamo parlando di un boccone, un solo boccone.
Immaginate ora di cenare bendati, di non vedere cosa state mettendo in bocca, di esplorare ogni boccone per dare un nome ad ogni sapore e ogni profumo.
Ecco questo è quanto è successo durante una cena al Podere Castellare Ecoresort sulle colline di Pelago, un paradiso immerso nel verde che ci ha accolto al tramonto insieme un venticello birichino che puliva l’aria e ci solleticava il naso con il profumo della lavanda in fiore.
Abbiamo riso e scherzato come sempre accade prima di una cena tra colleghi, bevuto un buon bicchiere di bianco fresco, totalmente ignari di ciò che ci aspettava. cena la buio web
Tutto è iniziato con un cerchio sull’aia, ci siamo presi per mano e il “rito” ha preso avvio. Nello stupore che ci confondeva  siamo stati bendati lì, “costretti al buio”  in quello spiazzato ampio immerso nella campagna toscana, senza aver visto niente altro dell’azienda in cui eravamo stati invitati, diventata, a quel punto, misteriosa. Il nostro lavoro, fatto di immagini, di scatti a pietanze che eleviamo a protagoniste delle nostre cene e degustazioni, sarebbe tornato ad essere un racconto di parole nel tentativo di trasmettere emozioni.

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Siamo stati messi in fila indiana e ognuno di noi si è dovuto affidare a chi lo precedeva. Fiducia, la prima cosa che dovevamo imparare. I primi passi incerti, il selciato di pietre rustiche da bendati pare un percorso sulle montagne russe. Un passo dopo l’altro, lentamente. Il tempo nel buio si dilata, il vento diventa un amico che ti porta informazioni.
“Scalino alto” grida qualcuno all’inizio di una fila che non so dove comincia. Anche regolare l’altezza di una gamba per salire quello scalino diventa un’ impresa eroica.
Un saliscendi di scale che sembra infinito e finalmente l’aperitivo.

Facciamo confusione, mentre ci è stato chiesto di fare silenzio, parliamo, perché noi parliamo sempre, e in questa situazione ti accorgi che è troppo. Piano, piano i toni si abbassano, abbiamo bisogno di concentrazione per assaporare quello che abbiamo nel piccolo bicchiere che gli organizzatori, Kitchen Whishes, ci hanno messo tra le mani.
Si parte con facilità: sappiamo che qui a Castellare si produce il gin Peter of Florence e nel bicchiere c’è lui ma anche la dolcezza del miele e il sapore esotico del cocco. Assaporiamo insieme a qualcosa di croccante come pane carasau e a qualcosa di morbido come un cucchiaino hummus di ceci. La vera esperienza inizia qui.

 

Il percorso riprende, la fila si riforma, scale, angoli, salite, discese mi ricorda il labirinto buio di qualche attrazione da luna park. Finalmente veniamo “sistemati” a sedere. Davanti abbiamo un sottopiatto, due bicchieri, un collega a sinistra e uno a destra. Prendiamo possesso di quello spazio.

Che la cena abbia inizio.

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Un turbinio di sapori, alcuni anche strani, altri più riconoscibili che ci hanno permesso di entrare a contatto con “l’essenza di numerose essenze”, in cui siamo stati immersi prima di gustarle nel piatto. Bergamotto, coriandolo, grani del paradiso, limone, ginepro, rosa canina, iris, angelica, lavanda, mandorle amare e cardamomo.
Sensazioni gustative, sensazioni olfattive, sensazioni tattili. Un panorama variegato di sensazioni nel palato, nell’aria, sulla pelle.
Lo staff, silenzioso, scivolava tra i tavoli, silente eppure presente, coccolandoci, accarezzandoci con le erbe, sciogliendo tensioni.
Morbida mouse su un crostino di pane il primo assaggio. La morbidezza della ricotta lavorata avvolge il palato e offre un racconto del bosco dove il ginepro, che ne arricchisce il sapore, è cresciuto; il crostino fa sentire la sua presenza, non semplice supporto ma elemento che dona croccantezza con la sua crosta e piccole esplosioni di sapore con i semi contenuti nella farina con cui è fatto.image00022
Qualcuno ci fa mettere le mani in una ciotola piena di quelle che sembrano bacche. Profumano  ma non riusciamo a riconoscerne la provenienza. Assaggio: hanno una sapore asprigno, mi ricordano qualcosa, qualcosa di sentito di recente, come vorrei poter vedere cosa sono…
Lo stesso sapore lo ritrovo nel piatto che mi arriva: riconosco la dolcezza delle patate dall’odore e mi compiaccio di riuscire a fare con serenità anche una cosa normalissima come mangiare con il cucchiaio questa crema di patate. È dolce e morbida , piacevole per il palato ma ogni tanto il sapore aspro delle bacche interrompe con prepotenza la sensazione dolce, bilanciando la salivazione. Non so cosa sto mangiando ma mi piace.

Piatto dopo piatto mi sporco le mani perché prima di immergere la posata di turno voglio sentire cosa ho davanti, in quel piatto che non vedo ma di cui sento profumo e calore. I chicchi del’orzo mi sgranellano tra le dita mentre l’ impertinente cipolla si fa riconoscere come il pecorino. Anche qui c’è qualcosa di diverso, un profumo conosciuto ma non riconoscibile, almeno per me, che gioca con gli altri ingredienti, si nasconde, a momenti pare volersi raccontare per poi ritirarsi in un angolo segreto.
Forse se la vista fosse uno dei sensi presenti in questa cena il mio cervello avrebbe trovato mancanze e sollecitato critiche invece mi spinge all’assaggio, alla scoperta dei segreti di questo orzotto.

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Tutto si è amplificato in questa cena, anche il pane caldo alla lavanda con il suo olio toscano, sembra un piatto gourmet senza parlare dell’uovo poché servito con il suo pane fritto al cardamomo e gli spinaci in tre consistenze, crudi, saltati in padella e in crema.
Qualche collega non ce la fa. Sento la sua sofferenza alla mia destra, sbuffa, si agita. Ha bisogno delle immagini, della sua macchina fotografica con cui rapire momenti di vita, fermare i frame delle nostre esistenze, giocare con la luce per regalarci il suo sguardo sul mondo.
La cena al buio è quasi giunta al termine. Qualcuno mi porge sulle labbra un cucchiaino di Gin da accompagnare con crumble al rosmarino mentre l’inconfondibile profumo del creme caramel alla cassia mette fine a questa esperienza unica. Sbendati, brindiamo e sorridiamo, e abbiamo dei sorrisi di felicità infantile, come dopo un gioco nuovo che abbiamo trovato molto diveretente.

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Consistenze, esaltate, sensi allertati, tempo dilatato. Se avete voglia di capire cosa siete e a cosa servono i vostri sensi questo è un momento che potete regalarvi, ma se pensate di partecipare e spendere il vostro denaro e poi parlare tra di voi delle vacanze al mare e dell’asilo di “Leonida” come hanno fatto all’altro tavolo presente a questa cena, state a casa e risparmiate.
Quelle organizzate da Kitchen Whishes non sono semplici cene ma esperienze di teatro e, come a teatro, per comprendere è necessario fare silenzio. Qui non parlano gli attori ma i sapori, e per capirli, vanno ascoltati.

Roberta Capanni

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