Vitigni autoctoni: un viaggio lungo tutta la penisola.
Scoperte e riscoperte con la degustazione dei vitigni autoctoni delle Donne del VIno insieme a Ian D’agata
Il Vinitaly 2017 è stato, almeno per me, soprattutto l’anno dei vitigni autoctoni. Ormai da tempo l’interesse per i vitigni che da secoli radicano nel nostro territorio hanno attirato l’interesse di molti appassionati, alla ricerca di profumi e sapori unici. Una moda possiamo dire che sta dando grandi soddisfazioni anche a chi ha deciso di seguire questa strada in produzione.”Vini – ha ricordato Ian D’agata che ha guidato la degustazione – che non hanno punteggi alti da mostrare ma storie da raccontare”.
“Seguire” il percorso segnato dai vitigni autoctoni può portare alla scoperta di una Italia, non certamente minore, ma in cerri casi più defilata, meno da prima pagina ma ricca di storia e di storie da raccontare.
Il nostro paese ha la particolarità, rispetto alle altre nazioni dove si produce vino, di avere la più grande varietà di vitigni allevati, molti di questi autoctoni. Per essere più precisi i vitigni si possono suddividere in native tra cui gli autoctoni e gli indigeni, gli internazionali che comprendono gli alloctoni italiani e gli stranieri.
Ho seguito con grande interesse la degustazione guidata da Ian D’agata che, in questo Vinitaly 2017, ha scelto tra le produzioni da vitigni autoctoni delle produttrici aderenti all’Associazione Donne del Vino: due spumanti, 5 vini bianchi, 10 rossi, 1 vino da dessert e 1 grappa.
Il pomeriggio è iniziato con una breve ma interessante introduzione di D’Agata che ha parlato del problema della banca dati a cui ci si rifà per valutare se un vitigno è realmente appartenente ad un territorio. Gli studi sono iniziati da troppo poco tempo, a suo parere, e spesso ci possono essere errori se il campione presente in banca dati è sbagliato ( e spesso lo sono). Quindi prima di espiantare un vitigno il suo consiglio è di far pare più esami per non perdere un patrimonio di cui l’Italia può andare fiera e che può essere destinato ad aumentare.
Il “viaggio” tra i vini da vitigni autoctoni ci ha portato in quasi tutte le regioni. Tutti mi hanno colpito ma a distanza di qualche giorno ciò che si ricorda è ciò che ha attirato la nostra attenzione. Chiudendo gli occhi “riascolto” il Procanico bianco de La Maliosa 2015 IGT Toscana che Antonella Manuli produce in Maremma. Dal colore del miele e dalle note di zafferano la terra in cui affondano le radici di questa vigna di circa 60 anni in bocca arriva il sole che allaga questo territorio. Come tutta la produzione de La Maliosa anche in questo caso sono usati per l’allevamento sistemi naturali sia in vigna che in cantina che regalano un prodotto eccellente, forse non adatto a chi cerca “le solite cose” ma sicuramente di grande interesse per chi ricerca.
Un altro ricordo: il Verduno Pelaverga da Pelaverga Piccolo (una delle più piccole DOC italiane) di produzione dalle cantine Aschieri Giacomo S.A.S. Un vino con intense note speziate la cui coltivazione nei territori di Verduno, la Morra e Roddi D’Adda si ritrova già intorno al 1400 dove si parlava di “uve negre”. Un vino con le sue leggende, con la fama di essere afrodisiaco, riscoperto intorno agli ’70 del ‘900, oggi lavorato in purezza. Un vino di facile beva, dal bouquet elegante, dal sapore delicato.
E ancora l’Ucelline da Ovalino un Monferrato DOC Rosso 2011 prodotto da Cascina Castellet, il Frappato DOc Vittoria Frappato di ASgetana Jacono, il Canaiolo nero di Toscana prodotto da Cristiana Grati nelle Fattorie di Galica e Vetrice (un altro bel progetto di recupero degli autoctoni).
Ogni assaggio ha regalato un pezzo di territorio italiano, con tutte le sue caratteristiche speciali, quelle che fanno dell’Italia una nazione unica nella produzione di vino di qualità.
La conclusione di questa interessante degustazione con un vino da dessert di Picolit dell’azienda di Vigna Petrussa che Hilde Petrussa ha descritto con amore infinito. Un vino veramente da meditazione, dal colore giallo dorato intenso, profumi floreali e frutti esotici. Equilibrato, morbido, con un’eleganza innata che ricalca quella di chi lo produce.
Ed è ancora per il Picolit la conclusione, con la Grappa Nonino Cru, una grappa intensa, di cui oggi possiamo godere grazie alle battaglie per poter distillare da vinacce di Picolit, che la famiglia Nonino ha dovuto sostenere contro tutto e tutti.
Il nostro viaggio nei vitigni autoctoni non si ferma qui…
Roberta Capanni